Luce fin giù, nelle profondità ultime, chiarezza fin nelle minime parole che scintillano, musica in ogni pausa; e, sopra tutte le cose, quel tono alcionico, quel cielo pieno di chiarezza. Che trasformazione del ritmo da quella sua prima lingua, piena di slancio, energica e rotonda, ma tuttavia petrosa, e questa nuova, sonante, scattante, pieghevole, tracotante, piena di gioia, che volentieri usa e muove tutte le membra, che gesticola come gli italiani con una mimica dalle mille mosse, non parla come fanno i tedeschi, col corpo immobile e assente! Non è più il dignitoso tono tedesco umanistico, in frac nero, questa cui il nuovo Nietzsche affida i suoi pensieri nati liberi, volati a lui come farfalle durante una passeggiata; le sue idee da aria libera esigono una lingua da aria libera, una lingua leggera al salto, flessuosa, con un corpo nudo e agile da ginnasta, con membra snodate, una lingua che sappia correre, saltare, ergersi, piegarsi, tendersi e che sappia danzare tutte le danze, dal girotondo della malinconia alla tarantella della stoltezza, una lingua che, senza avere spalle da facchino e passo d’uomo massiccio, possa tutto portare e tutto esprimere.
STEFAN ZWEIG, Nietzsche: la lotta col demone