La musica è per me la cosa più dolce del mondo. L’amo in maniera indicibile. Per sentir suonare sono capace di fare dei chilometri. Spesso, quando d’estate cammino nelle strade infuocate, e da una casa sconosciuta viene il suono di un pianoforte, resto immobile e mi sembra di dover morire lì sul posto. Mi piacerebbe morire ascoltando un pezzo di musica. Me l’immagino così facile, così naturale, e invece naturalmente è impossibile. Le note sono pugnalate troppo tenere. Le ferite di questi pugnali bruciano, ma dentro non c’è del marcio. Malinconia e dolore, invece del sangue, ne gocciolano fuori. Quando la musica cessa, tutto in me torna tranquillo. Poi vado a fare i compiti, a mangiare, a giocare, e mi dimentico. Il pianoforte, per me, ha il suono più magico, anche se a suonare è la mano di uno strimpellatore. Io non sento il modo di suonare, ma soltanto il suono. Non potrei mai diventare un musicista. Perché non mi riterrei mai ebbro e dolce a sufficienza. Ascoltare musica è cosa ben più sacra. La musica mi rende sempre triste, ma così come lo è un sorriso triste. Direi quasi: di una tristezza amica. La più allegra delle musiche io non riesco a trovarla allegra, e la più accorata delle musiche per me non è affatto particolarmente accorata e sconsolante. Davanti alla musica ho sempre un’unica sensazione: mi manca qualcosa.
ROBERT WALSER, I temi di Fritz Kocher, 1904