Schumann fa ascoltare pienamente la sua musica soltanto a chi la suona, anche male. Sono sempre stato colpito da questo paradosso: mi entusiasmavo per un certo pezzo di Schumann quando lo suonavo (approssimativamente) e mi deludeva un po’ quando ne ascoltavo la registrazione: appariva allora misteriosamente impoverito, incompleto.Non si trattava comunque di una mia infatuazione. Il fatto è che la musica di Schumann va oltre l’udito; va nel corpo, nei muscoli, con i colpi del suo ritmo, e persino quasi nelle viscere, con la voluttà del suo melos: si direbbe che ogni volta il pezzo sia stato scritto per una sola persona, quella che lo suona; il vero pianista schumanniano sono io.
ROLAND BARTHES, Amare Schumann, 1979