Nel suo libro “Il disagio della civiltà” Freud mostra la genesi della cattiva coscienza. Essa è un tipo di nevrosi condizionata dalla vita in comunità. Freud parte dall’assunto plausibile secondo cui esiste negli uomini una pulsione aggressiva. Gli effetti di questa pulsione non si manifestano solo tramite l’uso della violenza fisica, ma anche nel compimento di quelle azioni che sono in genere considerate “vietate”. Gli esempi possono essere molto vari: dal bambino che ruba una mela a qualcuno che guida oltre i limiti di velocità consentita. La domanda che sorge a questo punto però è: che cosa significa “vietato”? E soprattutto: come viene in essere il divieto?

Secondo Freud tutto comincia nell’età infantile. Supponiamo che un bambino faccia qualcosa che non dovrebbe fare e che si accorga di essere osservato dai genitori. Egli non esegue il suo atto da solo ma con la presenza dello sguardo di qualcuno. La persona osservatrice viene riconosciuta come autorità e in questo caso non permette o disapprova l’azione compiuta. Il bambino sviluppa quindi l’ansia di essere sanzionato in relazione a una privazione di amore. Questo elemento nella psicanalisi è molto importante perché ogni circostanza è considerata in base al rapporto tra il desiderio e la sua possibilità di essere soddisfatto. In questo esempio il desiderio è quello di essere amato e la conseguenza emozionale dell’ansia deriva dal rifiuto, dalla privazione dell’amore.  Freud dice che non è cattivo qualcosa in sé (così come espresso da Spinoza e Nietzsche), ma ciò che è collegato ad una sanzione, come appunto la privazione dell’affetto. Il bambino impara così a controllare la pulsione aggressiva, a contenersi e a conoscere i divieti. Anche in una comunità più grande la pulsione aggressiva deve essere addomesticata. Con lo sviluppo per sorvegliare il rispetto dei divieti non serve più il controllo esterno dei genitori, ma questo controllo viene gradualmente interiorizzato nella famosa forma del Super-Io. Il lavoro culturale, il lavoro della civiltà – secondo Freud – consiste nell’interiorizzazione del controllo della pulsione aggressiva e del rispetto dei divieti. Il punto di forza di questo tipo di sorveglianza risiede nel fatto di essere stabile e durevole, perché instaurata dall’individuo stesso, che non vi si può sottrarre. L’individuo infatti non si può nascondere da se stesso. Nel Super-Io sono ammassati, archiviati, i divieti, i precetti, le regole della comunità.                  

A questo punto, a fianco a quello che Freud definisce l’aspetto “topografico” della psiche (conscio, preconscio, inconscio), possiamo considerare l’aspetto “economico” che riguarda la dinamica dei flussi di energia (Io, Es, Super-Io). Il Super-Io prende l’energia aggressiva e la rivolge verso un’altra dimensione, non quella esteriore, ma quella interiore, cioè quella dell’Io. Da un punto di vista logico sembrebbe contraddittorio cercare di rivoltare l’energia contro se stessi, perché in ogni cosa dovrebbe essere insita la tendenza all’autoconservazione (in Spinoza il “conatus”). La contraddizione si risolve introducendo due dimensioni.              

Ciò che gestisce l’energia dell’aggressività è la cattiva coscienza. Non è una voce della  morale interiorizzata, che mostra la via da percorrere, ma originariamente è semplicemente l’ansia, la paura di essere scoperto, che adesso si manifesta in questa forma.

Insieme alla cattiva coscienza sorge un senso di colpa, di colpevolezza. È  il sintomo di un conflitto tra l’Io e il Super-io. È l’essere di fronte al Super-Io avendo fatto qualcosa di vietato. Anche il senso di colpa è un’ansia trasformata. Freud afferma: «Il senso di colpa non è nient’altro che una sottospecie topica dell’ansia […] In qualche modo si trova nascosta sempre l’ansia, la paura dietro a questi sintomi». Questa è la scoperta geniale e sempre valida di Freud, anticipata da Friedrich Nietzsche nella sua “Genealogia della Morale”. All’inizio della cattiva coscienza c’è lo sguardo dell’altro, che è sempre inquietante e minaccioso.

 

Il testo qui proposto fa parte della conferenza dal titolo “La sovranità e lo sguardo degli altri” che il professor Timon Böhm ha tenuto durante l’edizione 2018 del Festival “A Due Voci”.