Osserva il gregge che pascola davanti a te: non sa che cosa sia ieri, che cosa sia oggi: salta intorno, mangia, digerisce, torna a saltare, e così dall’alba al tramonto e di giorno in giorno, legato brevemente con il suo piacere e dolore, attaccato cioè al piolo dell’istante, e perciò né triste né tediato. […] L’uomo chiese una volta all’animale: perché non mi parli della tua felicità e soltanto mi guardi? L’animale dal canto suo voleva rispondere e dire: ciò deriva dal fatto che dimentico subito quel che volevo dire – ma subito dimenticò anche questa risposta e tacque; sicché l’uomo se ne meravigliò. Ma egli si meravigliò anche di sé stesso, di non poter imparare a dimenticare e di essere sempre legato al passato: per quanto lontano per quanto rapidamente egli corra, corre con lui la catena. […] Continuamente si stacca un foglio dal rotolo del tempo, cade, vola via – e improvvisamente rivola indietro, in grembo all’uomo. Allora l’uomo dice ‘mi ricordo’. […] Ma sia nella massima, sia nella minima felicità, è sempre una cosa sola quella per cui la felicità diventa la felicità: il poter dimenticare o, con espressione più dotta, la capacità di sentire, mentre essa dura, in modo “non storico”. Chi non sa mettersi a sedere sulla soglia dell’attimo dimenticando tutte le cose passate, chi non è capace di stare ritto su un punto senza vertigini e paura come una dea della vittoria, non saprà mai cosa sia la felicità, e ancor peggio, non farà mai alcunché che renda felici gli altri.
FRIEDRICH NIETZSCHE, Sull’utilità e il danno della storia per la vita