La musica che snerva e strega

Forse Nietzsche ha avvertito tutta la distanza che separa il turbamento dovuto alla musica dall’aporia socratica: il melos è conturbante ma infecondo, non costituisce un imbarazzo eccitante, né una perplessità gnostica, bensì un malessere sterile che snerva e strega la coscienza: l’addormenta quando si fa cullante e l’intenerisce quando è elegiaca. Ma c’è di più. Nietzsche vede nella musica in generale il mezzo d’espressione delle coscienze adialettiche e dei popoli apolitici: le prime invaghite da fantasticherie crepuscolari e da pensieri sognanti e inesprimibili, sprofondano in una deliziosa solitudine; i secondi, ridotti all’inazione e alla noia dell’autocrazia, si rifugiano nelle consolazioni e nelle gratificazioni innocue offerte dalla musica. La musica, arte decadente, è la cattiva coscienza dei popoli introversi che trovano nelle composizioni strumentali e vocali un diversivo al loro bisogno di attività civica […]. Quanto a Nietzsche, si sa che ha visto nella musica di Bizet un mezzo di disintossicazione, capace di restituire allo spirito gioia, limpidezza e virilità. Secondo Nietzsche la cura di depurazione, di rinsavimento e di disinganno non inizia più – come per Platone – con le gimnopedie quotidiane, bensì con la danza e nella luce: Albéniz e Milhaud di certo sarebbero stati per lui i mezzi di catarsi più efficaci al grande risveglio cui aspirava.

VLADIMIR JANKÉLÉVICH, La musica e l’ineffabile