È un altro tempo

Sono al concerto. Ascolto. Mi limito ad ascoltare senza fare altro. Ho rinunciato alla capacità umana della decisione e dell’azione. Non suono nell’orchestra. Per questo sono «passiva»? Niente affatto. Sono ricettiva e sento questa ricettività come un’attività più intensa delle azioni o degli sforzi. Come se nella musica il tempo stesso dispiegasse in me una sorta di vita autonoma.

Nel conflitto dei tempi che si escludono, la libertà non è più un dovere difficile («di tutti i doni il più insopportabile», diceva Dostoevskij). La libertà non è più un compito da assolvere, ora è vissuta come un’unità dell’affettività dello spirito, del sentimento, del corpo. Come se ogni suono, ogni curvatura della melodia, ogni sorpresa del ritmo fosse una libera decisione, che non implica tuttavia una posta in gioco: come se si trattasse unicamente del dispiegarsi – o della sofferenza – della sola libertà.

Il tempo vissuto assume qui una strana unità. Il presente è più presente che mai, ma non implica l’agire; il passato è la nostalgia, ma non ha oggetto; il futuro è un’attesa assoluta, senza la speranza di un bene determinato. Al tempo stesso regna un “sì”, un consentire dell’anima a tutto ciò che risuonerà. Il tempo dell’ascolto non ha quasi più niente in comune col tempo di prima o dopo il concerto. È un altro tempo.

JEANNE HERSCH, Tempo e musica