La musica, in quanto grammatica della ripetizione, propone senza fine questo gioco fra il rievocare e reprimere il passato come parte integrante del fare la storia. Nel riverbero del suono, la musica riempie gli intermezzi nella memoria, consentendo un superamento temporaneo della resistenza alla sua presenza nel corpo che la contiene. Naturalmente, la ripetizione è sempre una forza dinamica; ciò che è ripetuto è anche rinnovato e rielaborato: l’istanza dell’ascolto ci trasporta altrove. Pertanto, se il suono crea e costituisce una «casa», dobbiamo reputarlo una dimora mobile che allude a qualcosa che deve ancora compiersi. Da ciò che sembra apparentemente passato, ma che persiste nell’insistente ripetizione materiale del suono, emerge un futuro in divenire. Nell’istanza della reiterazione, più che ricordare ciò che si è dimenticato, non si tratta forse di riconoscere l’atto del dimenticare stesso? L’oblio è dimenticato, ma la ripetizione lo prende per mano e lo trasforma. Se non si è capaci di ricordare totalmente, i segni, i suoni, le immagini permettono di immaginare che «i ricordi divengano questa possibilità meravigliosa» (Godard, 1998). La canzone e il suono non propongono il passato, ma un evento contemporaneo. Essi rivelano in un istante, nelle pieghe e nella «carne del mondo» (Merleau-Ponty, 1964), sia l’esposizione sia l’oscuramento della natura «ecstatica» dell’essere, nel rendere visibile il terreno senza fondamenta, l’abisso (Abgrund) o «il pozzo senza fondo» del divenire: questo nulla.
IAIN CHAMBERS, Mediterraneo blues: Musiche, malinconia postcoloniale, pensieri marittimi