Il finale comincia con un pianto disperato, nel quale tutto il calore degli archi non riesce a consolare il dolore del corno, e questo senso di desolazione prosegue sino alle ultime note, facendoci scoprire che persino Cajkovskij, amato per la sua sapienza nel costruire musiche fatte di pulsazioni ritmiche e fragori sonori, quando voleva sapeva comporre pagine che si muovono in punta di matita, tra colori pastello e dinamiche ridotte. E non ci si lasci trarre in inganno dal crescendo centrale: non conduce da nessuna parte, se non ad un punto di non ritorno, quando un singolo e moderato colpo di tam-tam segna l’avvio della dissoluzione progressiva di ogni cosa.

NICOLA CAMPOGRANDE, dal programma di sala del Concerto dell’Accademia di Santa Cecilia, Roma, 28 Maggio 2011

L’immagine è di Francesca Woodman