“Ogni arte aspira alla condizione della musica”, questa affermazione totalmente nichilista resta alla base di ogni stile di ripresa cinematografica nella storia del mezzo filmico. Ma è un cliché, un cliché ottocentesco, non tanto un’estetica quanto la proiezione di una spossatezza mentale, non tanto una visione del mondo quanto una stanchezza del mondo, non tanto un’affermazione di forme vitali quanto un’espressione di sterile decadenza. Esiste un altro pdv, molto diverso, rispetto a ciò cui “ogni arte aspira” – ed è quello di Goethe che propose come arte principale un’altra arte, la più aristocratica + la sola che non può essere praticata dalla plebe ma soltanto contemplata a bocca aperta con reverenza, + quell’arte è l’architettura. Le opere dei registi davvero grandi sono pervase da questo senso architettonico – che esprime sempre un immenso flusso di energia, una forza instabile + vitale.
SUSAN SONTAG, La coscienza imbrigliata al corpo