Avvitamenti 3

Il “frammento musicale” (che impersona l’individualità) è a un tempo gioco di astinenza, intimazione sempre prematura di senso, e ricerca di aiuto; la ricaduta del senso sulla più ignara sensibilità.

Il darsi prospettiva è manovra evasiva, avvitamento: la musica infatti ripugna ogni nostro approccio frontale. Piuttosto si affronta con le sue tante voci, secondo una polytropia che viene alla fine messa alle strette, ridotta a monotropia. Avvitarsi è il solo modo che ha per affrontarsi.

Non è un confronto. È il movimento avvitante che investe di sé l’arbitrario e lo fa diventare, suo malgrado, insostituibile: simulazione non argomentata di uno sbalzo dall’associazione alla sintesi; in cui l’immagine (che parla per prima, ma non ha mai l’ultima parola) resta indietro, si arrende, e scomparendo indica la musica – ne fa il suo ultimo desiderio, o meglio ne registra, anche se inadeguatamente, il passare oltre. Questa musica esibisce, a sua volta, la compatibilità universale con ogni immagine e l’esclusività di tale legame, non appena le si accosti un’immagine in particolare.

I pensieri della musica sono dunque “cogitationes caecae” e, per assurdo, “pensées sourdes”, di cui la riflessione si serve senza spiegarne il senso, per arrivare da qualche parte, prima che la nostra immaginazione li vincoli al proprio contenuto psicologico (se riferito a un vissuto) e biomeccanico (se riferito al corpo umano). Ma quei pensieri ciechi sono anche pensieri che riacquistano la vista; perdono, miracolosamente, la natura di simboli sordi, si legano, risanati, a una sorprendente compagine di idee. La musica suona, ma solo presso la Fine, si ascolterà.

Musica di Rachmaninov, Wagner, Beethoven