Appena risuonarono la musica e il canto, la rombante ruota del tempo si arrestò. Erano quelle le prime note che cadevano nel deserto e subito il tormento fu quietato, l’incanto disciolto e lo spirito liberato dalla sua forma umana. Un’immagine celeste, angelica, intessuta di vapore leggero, stendeva ora le braccia al cielo e librava in alto, in movimenti di danza sul ritmo di una musica che si arricchiva dei corni e del canto. Con gioia divina danzava quello spirito sulle bianche nubi dell’aria! E salì sempre più in alto inoltrandosi tra le stelle, che tintinnarono chiare tra gli spazi eterei, fino a quando non si perse nel firmamento eterno. Carovane in cammino osservarono stupite quella straordinaria apparizione notturna e gli innamorati credettero di vedere lo spirito dell’Amore e della Musica.     

Il passo, tratto dalla scena finale de La meravigliosa favola orientale di un santo ignudo, documenta il sorgere dell’idea romantica intorno al magico potere della Musica a firma del giovanissimo Wilhelm Heinrich Wackenroder (Berlino, 1773-1798), animatore invisibile, pur nella sua breve vita, del Romanticismo di Jena, che concentrò il suo pensiero in poche densissime pagine – Sfoghi del cuore di un monaco amante dell’Arte (1796) e Fantasie sull’Arte per amici dell’Arte [Phantasien über die Kunst für Freunde der Kunst] divulgate postume dall’amico Ludwig Tieck nel 1814, a Berlino. La definizione della Musica come arte di assoluta interiorità, ideale poetico pur nel suo linguaggio asemantico fruibile con il sentimento, influenzò scrittori e filosofi dei primi circoli romantici, da Schlegel, Schelling e Novalis – Friedrich Schlegel attribuì alla musica la forza dell’Urklang, del «suono primigenio» di Natura, Schelling la bellezza del «volo sulle ali dello spirito», Novalis, nel visionario Heinrich von Ofterdingen, un potere orfico capace di esprimere l’Assoluto, rivelando la polifonia dell’universo – a Clemens Brentano, che nella lirica Echi di musiche di Beethoven le conferì il dono di far risuonare nell’anima un mondo straordinario di «canti di stelle, pianeti di piacere, comete di dolore».  

Quel “senso di ali”, che permette di sollevarsi in sogno sui turbamenti dello spirito e vivere la magica identificazione con Natura, è l’ingrediente irrazionale che tutti i poeti romantici avrebbero attribuito al potere della Musica, arte suprema, enigmatica, pura, che non imita, non significa, ma che fa sentire il sentimento, superiore alla poesia e alla pittura perché capace di esprimere il volto dell’ineffabile, che le arti sorelle, legate a immagini e parole, non sono in grado di ritrarre. Crolla così il mondo armonioso degli antichi artisti, ispirati da Dio e a Dio devoti, a favore di un incanto che, creando fascinosi mondi irreali, libera dalla realtà e dal male dell’esistenza. 

«Quando godo dal profondo la sensazione di come dal silenzio, con libero slancio, si forma il filare dei suoni e, come fumo d’incenso, si libra nell’aria – scrive Wackenroder ne I miracoli della musica (in Fantasie sull’Arte), racconto di un immaginario direttore d’orchestra, capace di evocare dal nulla mondi fragili e fascinosi – allora sbocciano nella mia anima nuove, straordinarie immagini. E la musica mi appare ora come l’araba fenice, che vola orgogliosa con ardito slancio di ali per rallegrare dèi e uomini, ora come un roseo raggio di sole che dolcemente, dall’alto, solleva l’anima di un bimbo, ormai morto, per condurlo in cielo ad assaporare le gocce d’oro dell’eternità e dei sogni più belli. E ancora, come il simbolo della nostra stessa vita: commoventi brevi gioie, che si elevano e si inabissano senza un perché; un’isola piccola, verde, lieta, splendente di sole, di canti, di suoni, pur se posta su un oceano oscuro e profondo».  

«Guardo – continua Wackenroder – e in quel magico impasto di suoni scorgo un ordito di rapporti numerici; e credo che l’invisibile arpa di Dio, accompagnando segretamente le nostre note, presti all’umano intreccio dei numeri la sua forza divina». E ancora: «Nello specchio di quei suoni il cuore umano conosce se stesso, ode il sentimento, prende coscienza dei sogni riposti negli angoli più remoti dello spirito».

Anima purissima di sognatore, il giovane poeta è asceta della Bellezza nella struggente contemplazione di un ideale estetico, dolorosamente consapevole, però, che l’arte è misterioso “dono divino” elargito al genio di pochi eletti: agli antichi scultori greci come al rapimento mistico di Raffaello, unico artista (richiamando il Winckelmann) degno di essere posto a confronto con quell’apollinea bellezza. Presto la sua poetica assume, dunque, carattere specificamente cristiano. Al giovane che fino a vent’anni, educato alla carriera giuridica dal padre (funzionario del regno di Prussia sotto Federico II), ha vissuto nella fredda luterana Berlino, durante i semestri universitari di Erlangen si schiude d’improvviso l’arte cattolica di Norimberga e Bamberga con le cattedrali barocche ricche di dipinti, sculture e musica liturgica, magica fusione di valore artistico e sentimento religioso. È il momento ideale per la nascita degli Sfoghi di cuore di un monaco amante dell’Arte, saggi critici che segnano il passaggio storico-estetico dal Classicismo al Romanticismo, con la conseguente rivalutazione del Medioevo cattolico. 

Ma un Wackenroder diversamente romantico è lo scrittore della Vita musicale del compositore Joseph Berglinger alter ego di sé e delle proprie immaginarie avventure – e dei saggi sulla musica, pubblicati postumi. Dopo aver esaltato la pittura, egli celebra ora l’elemento irrazionale della musica, che dichiara «arte suprema» in grado di soddisfare le istanze dello spirito. «Linguaggio degli angeli» per eccellenza, la musica diventa presto, nei suoi scritti, una nuova «divinità per cuori umani», arte «materiale» per la forza sensuale intrinseca dei suoni e, insieme, «ideale» perché lontana dai concetti della ragione; «esatta» per il sistema numerico dei suoni e, insieme, «libera» per la spontaneità del sentire. Così, a conclusione di un lungo percorso estetico, il monaco amante dell’arte cede all’asceta della Meravigliosa favola orientale di un santo ignudo [Ein wunderbares morgenländisches Märchen von einem nackten Heiligen] che anela al nirvana e, liberato dal dolore dell’esistenza, si sublima nell’armonia celeste e redentrice della musica, «nell’abbraccio antico del cielo, che tutto ama»: una soggettiva, romantica religio, legame dell’anima con il Tutto, con l’armonia di un Universo in cui dissolversi in abbandono estatico.

L’affascinante favola, ricca di simboli e allusioni (il cui passo finale ha aperto il nostro articolo), racconta, infatti, di uno spirito orientale che, presa nuda forma umana in un eremita, vive solitario in una buia grotta, stordito dall’eterno fragore della ruota del tempo e reso folle dalla possessione del dolore e del pianto. Ma una notte d’estate, nell’incanto della luce dorata degli astri, riesce a distinguere un canto d’amore, risalente dal fiume:

Dolci brividi accarezzano l’acqua, i campi, i sensi inebriati. Gli astri brillano su nel cielo e, di riflesso, giù nei flutti, accesi da Amore. La sua musica risuona su selve austere e calme, e palme e fiori, sognando, apprendono Amore

E la rombante ruota si arresta, l’incanto svanisce, e lo spirito, liberato dalla forma materica, si allontana tra gli astri nello spazio infinito del firmamento.

Tale “sublimazione” attraverso la musica rappresenta la summa del pensiero di Wackenroder, il suo capolavoro poetico. Vi si contrappongono il tempo esterno e inesorabile degli eventi, che annichilisce l’uomo, e il tempo interiore della coscienza; l’inerzia di una umanità che soggiace alla miserevole quotidianità e la condizione elevata di chi percepisce il dolore dell’esistenza, superandolo nella dimensione dell’Arte, dell’Amore, della Musica. Nell’aspirazione all’Infinito. Nell’armonia delle sfere, che attira, abbraccia, redime.

Ma quale musica conosce Wackenroder? Non vi sono indicazioni nei suoi scritti, però sappiamo che nel Nationaltheater della Berlino di fine Settecento sono già in voga il Singspiel tedesco e i drammi musicali di Mozart e Gluck. Musicisti come Friedrich Reichardt hanno elevato l’attività concertistica a livelli professionali sul modello dei Concerts spirituals parigini e, pur in una poetica lontana dai clangori dello Sturm und Drang, la Natura è ritornata ad essere luogo empatico, utopico, soprattutto nello sviluppo del Lied, “poesia in musica” che, coltivata in grafia minuscola in sale da concerto, sa tingere di passione le corde di un pubblico colto.  Musica e parola scoprono rapporti sempre più stretti, con l’innesto di agilità virtuosistiche nella scrittura strumentale, soprattutto per strumenti come flauto, violino, clavicembalo, che dal carattere della musica vocale assorbono stile, fraseggi, respiri, fioriture, dialoghi tra temi di trasparente eleganza nel gioco speculare di archi e fiati, che rendono l’orchestra luogo di elezione di un nuovo “sentire”, di un diverso “raccontare”. Quelle melodie, che richiamano l’andamento della “voce narrante”, possono esprimere pensieri, rivelare verità interiori nell’illusione di un flusso musicale che diviene voce della coscienza che interroga, evoca, commuove. Nella musica di Carl Philipp Emanuel Bach (il “Bach di Berlino”) si intravedono già i primi sintomi di una Empfindsamkeit, di un sentimentalismo capace di demolire ogni regola semantica a favore di un nuovo clima di effervescenza ritmica, fantasia, drammaturgia del suono, colore armonico, così come nelle opere di Zelter, Reichard, Quantz, Neefe e nella prima produzione strumentale del giovane Beethoven (Sonate per pianoforte, per violino e pianoforte, Trii), conquistando per la musica assoluta nuovi orizzonti, profondi, misteriosi, fantastici, che lo stesso Wackenroder intravede teorizzando un’arte che fonda insieme la razionalità della forma e la dottrina armonica con l’espressione del sentimento, l’armonia dell’anima con l’armonia cosmica nella tensione al divino. Sono i valori di un romanticismo che presto sarà anche synpoesia e synfilosofia. Il carteggio tra Wackenroder e l’amico Ludwig Tieck traccia già il primo “convivio” culturale romantico che, dopo la morte prematura del Nostro, acquisterà anche l’ardore geniale del giovane Novalis e del suo magico idealismo.

Attraverso Tieck, dunque, l’incontro tra il “profeta” del romanticismo e il suo massimo poeta; tra la Meravigliosa favola orientale e le favole mistiche dell’Heinrich von Ofterdingen, viaggio di iniziazione alla ricerca di quel fiore azzurro che per Novalis esprime la verità sublime del sogno, sintesi poetica di Spirito e Natura sull’altare dell’Ineffabile. Alla ricerca delle segrete vie che raccontano Dio, già evocate nell’antico canto di Astralis:  

Giunto è il regno dell’Amore. La grande Anima del mondo ovunque rifulge, eternamente fiorisce. Nel gioco primigenio di Natura è riflesso lo Spirito di Dio.