Brevi cenni su una derivazione filosofica
Dolce è che vi siano parole e suoni: non sono
forse, parole e suoni, arcobaleni e parvenze di
ponti tra ciò che è separato dall’eternità?
Così parlò Zarathustra, Il convalescente
Sono innumerevoli i nessi che è possibile stabilire tra la filosofia di Nietzsche e la musica. Sotto tantissimi riguardi, difatti, il pensiero del filosofo istituisce il proprio asse di gravitazione proprio intorno al valore dell’esperienza musicale. Pensiero e musica si scambiano continuamente il passo, ed in questo movimento, che non a caso Nietzsche raffigura come una danza, si scandisce l’intercambiabilità dei due elementi, la loro consonanza di fondo la loro co-essenzialità fondamentale. Si tratta di una visione in tutto nuova che, come per tutti gli altri aspetti centrali della “teoresi” nietzscheana, troverà piena esplicazione in quella che il filosofo di Sils-Maria concepisce come la propria opera fondamentale: il Così parlò Zarathustra. Le radici di questa predilezione per l’elemento musicale vanno ricercate sia nel quadro di una ricostruzione della biografia di Nietzsche, sia nell’eredità filosofica che lo lega su più versanti al pensiero di Arthur Schopenhauer, nonché all’interno di un percorso di formazione che lo contraddistingue sin dalla prima giovinezza. Soffermandosi sull’immagine dei filosofi dell’avvenire preconizzati da Nietzsche in Al di là del bene e del male Gilles Deleuze (1997) scriveva:
Il filosofo dell’avvenire è al tempo stesso l’esploratore di antichi mondi, vette e caverne, e crea in virtù del ricordo di qualcosa che è stato essenzialmente dimenticato. Questo qualcosa per Nietzsche è l’unità del pensiero e della vita. Unità complessa: un passo per la vita, un passo per il pensiero. I modi di vivere ispirano modi di pensare, i modi di pensiero producono modi di vivere. La vita attiva il pensiero e il pensiero a sua volta afferma la vita. […] Noi ormai abbiamo solo esempi in cui il pensiero imbriglia la vita, la mutila, la doma, ed esempi in cui la vita si prende la rivincita sconvolgendo il pensiero.
Parafrasando la definizione di Deleuze, Nietzsche pone in atto, invero, un triplice e molteplice movimento esistenziale laddove, come a ragione pone in risalto Bruno Dal Bon (2020), sia all’elemento vitale che a quello del pensiero, che gli fa da contraltare come la faccia di una medesima medaglia, si può sostituire il valore apportato dalla musica. “Un passo per la vita e uno per la musica” dunque, laddove i modi stessi del pensare si strutturano in base alle sensazioni ed alle emozioni vivificanti o inebrianti che melodie, opere e sinfonie di vario genere possono di volta in volta suscitare: prima Wagner, poi Bizet ad esempio.
Già per Schopenhauer (1818-1859) la musica assurgeva, contro una lunga tradizione che ne sanciva il misconoscimento come arte nobile (vd. Kivy 2007), a dimensione più profonda della verità, ovverosia della volontà intesa ancora kantianamente come noumeno, e ne Il mondo come volontà e rappresentazione scriveva: «Imperocché quivi la musica differisce, come ho detto, da tutte le altre arti: nell’essere non già una riflessa immagine del fenomeno, o meglio, l’adeguata oggettività della volontà, bensì l’immediato riflesso della volontà medesima; e per tutto ciò ch’è fisico nel mondo rappresentare il metafisico, per ogni fenomeno rappresentare la cosa in sé». Difatti in modo chiaro ed inequivocabile Schopenhauer aveva così chiarito, nelle dense pagine del terzo libro del sua opera capitale, tale cruciale questione:
La musica è dell’intera volontà oggettivazione e immagine, tanto diretta com’è il mondo; o anzi, come sono le idee: il cui fenomeno moltiplicato costituisce il mondo degli oggetti. La musica non è quindi punto, come le altre arti l’immagine delle idee, bensì l’immagine della volontà stessa, della quale sono oggettità anche le idee. Perciò l’effetto della musica è tanto più potente e insinuante di quel delle altre arti: imperocché queste ci danno appena il riflesso, mentre quella esprime l’essenza.
Sembrerebbe dunque che l’anticipazione schopenhaueriana costituisca il momento decisivo della predilezione esistenziale di Nietzsche per l’universo rappresentato dal musicale. A mutare è tuttavia il quadro metafisico complessivo, laddove invero svanisce l’orizzonte concettuale di un possibile ordinamento e suddivisione metafisici della questione, in Schopenhauer ancora presenti in quanto erede di certo kantismo. Da questo rinnegamento di uno sfondo teoretico-metafisico atto a sistematizzare e formalizzare una concezione organica ed esaustiva del musicale, all’interno della quale quest’ultimo tuttavia ricoprirebbe il ruolo di assoluto protagonista del pensiero in quanto espressività assoluta e tangibile della verità filosofica, discende l’affermazione della musica in quanto elemento vissuto, percepito e sentito che attraversa da cima a fondo l’esperienza di Zarathustra. Questo aspetto, come tanti altri elementi della ricerca di Nietzsche, confluirà nella sua opera capitale in seguito ad un’elaborazione sia analitica che pratico-esistenziale lunga decenni. La rilevanza pedagogica attribuita all’elemento musicale conduce già il giovane Nietzsche ben oltre il progetto sistematico dell’elaborazione di una mera “filosofia della musica”, fino a farlo giungere ad una identificazione radicale dei due elementi. L’esito di tale trasformazione, rispetto al punto di partenza schopenhaueriano, e l’intento che ne motiva la messa in opera, è di certo quello di aprire uno squarcio deciso al silenzio espresso da un logos adesso impotente, per lasciare apparire, irrequieta e refrattaria ad ogni definizione concettuale esaustiva, in tutta la sua ricchezza, la potenza della musica ed il suo pathos creativo.
A riguardo Manos Perrakis (2011) nota come il musicale assurga in Nietzsche ad aspetto propriamente fondante della riflessione. Se già per Schopenhauer la musica era espressione stessa dell’“in sé”, della verità dell’essere, del fondo magmatico della volontà, unica sua manifestazione tangibile e conoscibile, Nietzsche oltrepasserà questa visione sviluppandola attivamente secondo una determinata strategia di pensiero: “Se la musica, difatti, è capace di esprimere la più intima lingua del mondo e può restituire in suoni e i movimenti interni di una cultura, rappresenta una grande vittoria per la filosofia se un filosofo si cimenta nel tradurre l’intimo linguaggio della musica in quello filosofico”.
Schopenhauer, tuttavia, non forniva alcuna indicazione su come si dovesse realizzare in concreto quest’opera di traduzione, né chiariva il portato universale del linguaggio musicale. Su questi aspetti, si innesta la svolta impressa da Nietzsche per il quale a questa trasposizione corrisponde il tentativo di fornire articolazione alla sfera dell’inconscio, esaminando il campo da questo occupato alla luce dei bisogni. Scrive ancora Perrakis:
Nietzsche fa della musica il mezzo attraverso il quale poter rendere cosciente ciò che è inconscio, questa, tuttavia, non è da interpretare come una potenziale decifrazione dell’inconscio nel senso nel quale la intendeva la successiva psicoanalisi, piuttosto come una prosecuzione di una lunga tradizione di focalizzazione sulla forza creativa degli uomini.
Nello spirito della musica per Nietzsche si condensa tutto il portato vitale-conoscitivo e trasfigurativo dell’umano, quella tensione al cambiamento che aveva intravisto sorgere nel primo Wagner. Così, contrapponendosi agli artisti a lui contemporanei, in Richard Wagner a Bayreuth domandava: “[…] ma chi oggi sente in sé vita vera e feconda – e ciò significa attualmente soltanto: musica, – potrebbe costui lasciarsi indurre anche solo per un momento a speranze durature da una qualsiasi faticosa ricerca di figure, forme e stili? […]”.
Richard Wagner (1849) si faceva promotore di una rivoluzione artistica il cui senso verrà però presto asservito, in modo antiartistico e antidionisiaco, alla stessa autocelebrazione narcisistica del compositore. Il suo sconfinare nel voler assecondare a tutti i costi le esigenze gregarie del momento, anche seguendo una logica creativa funzionale ai bisogni consumistici delle masse, si rivelerà atteggiamento da ricondurre ad una degenere, egoistica e smodata sete di gloria personale che stava in netta antitesi con lo spirito rivoluzionario e culturale che il giovane Nietzsche de La nascita della tragedia vi scorgeva investendo sogni e speranze.
Nella musica dei maestri tedeschi Nietzsche udiva risuonare il “sentimento giusto, nemico di ogni convenzione e di ogni artificiale estraneazione e incomprensività fra uomo e uomo” quali invece dominano nella consueta malattia del linguaggio, tanto che il singolo non riesce più a comunicare, stringendosi ai suoi simili, sul proprio stato, sulle proprie afflizioni e i propri più intimi bisogni. Il linguaggio della semplice razionalità, spiegava nella Quarta considerazione inattuale, riposa adesso su sé stesso, su un piano del tutto distinto dalle esigenze reali. All’interno del mondo culturale e formativo si era sempre pensato di poter porre rimedio a tale condizione di alienazione linguistica ed esistenziale “irretendo l’individuo nei lacci ‘dei concetti distinti’” di certo razionalismo logocentrico, che Zarathustra confuterà, senza perciò comprendere come la condizione primaria del retto pensare sia anzitutto un retto sentire cui si può condurre ed educare solo mediante la musica:
[…] Avviandoci verso una meta così nuova e tuttavia non in ogni tempo inaudita, siamo indotti a confessarci la più vergognosa manchevolezza della nostra educazione e il vero motivo della sua incapacità di uscire dalla barbarie: essa non è plasmata dall’anima della musica, mentre le sue esigenze ed istituzioni sono il prodotto di un’epoca in cui non era ancora nata quella musica, in cui noi riponiamo qui una fiducia così significativa […].
La musica dei grandi maestri era ad un tempo un “ritorno alla natura” ed una sua “purificazione e trasformazione”: “giacché nell’anima dei più amorevoli è sorta la necessità di quel ritorno, e nella loro arte risuona la natura trasformata in amore”.
Se la visione schopenhaueriana ruotava intorno ad una visione ancora astratta della dimensione artistico-musicale – attraverso il chiaro richiamo all’in sé di Kant gnoseologicamente inattingibile ma, come sottolineato da Nietzsche ne La gaia scienza (§ 335), intravisto soltanto mediante la forma del tutto generale dell’imperativo morale – in Nietzsche essa presiede anche ad una più alta funzione pedagogica e trasformatrice, denotando in senso fortemente antropocentrico il suo approccio alla dimensione creativa della vita.