Nonostante le numerose recensioni su un’opera considerata come spartiacque fra l’eredità musicologica in senso stretto e la relativamente nuova letteratura etnomusicologica, la mia vuole essere una riflessione che superi tali dualismi – non fosse altro per rendere merito ai preziosi insegnamenti del caro Professor Francesco Giannattasio, curatore dell’edizione italiana. Non è per demarcare confini e ambiti tematici che nasce questo mio contributo, quanto piuttosto per favorire spunti e connessioni interdisciplinari in particolare fra l’ambito musicologico e quello filosofico.
È indubbiamente singolare che l’opera di John Blacking, ignorata a lungo negli stessi ambiti accademici, viva solo ultimamente la sua “primavera” e sia recensita come fosse un lavoro assai recente e garante di grandi novità. È inoltre interessante notare che tale libro venga considerato “attuale” non soltanto perché in linea con le riflessioni del momento o perché ormai un classico imprescindibile della bibliografia accademica di vari corsi universitari. Indubbiamente non si può ignorare che le maggiori recensioni presenti sul web e di facile reperibilità siano di genere musicologico, scritte dagli stessi studenti per sopperire ad esigenze assai particoli di natura prevalentemente didattica. Tuttavia l’attualità di cui l’opera gode è di natura teoretica: essa pone al lettore questioni e interrogativi imprescindibili aventi declinazioni filosofiche, antropologiche ed epistemologiche prima che musicologiche. Questa mia analisi è dunque indirizzata a chi vive la letteratura musicologica come opportunità per riflessioni umanistiche quanto umane; ma soprattutto vuole essere una sollecitazione nei confronti di quegli ambiti accademici che si vivono come settoriali ed escludono a priori lavori che non siano di genere attinente ai propri ambiti di ricerca. Lavori come quello di Blacking dovrebbero piuttosto essere intesi e classificati in relazione alle domande teoretiche che pongono. Diversamente si rischia di credere ai generi allo stesso modo in cui una volta si credeva alle razze…
Premesso tutto questo, mi accingo a recensire il testo, in modo sintetico ed essenziale, chiarendo al lettore che non mi soffermerò a dettagliare ulteriormente il materiale musicale (fra immagini, spartiti e grafici): ve ne sono davvero tante recensioni tra loro simili e facilmente fruibili in rete.
Con un titolo in forma interrogativa e con una questione assai delicata, il rinvio al monumentale quanto anacronistico Was ist der Mensch? kantiano e neo-kantiano è quasi inevitabile. Le problematiche poste sono di natura estetica, gnoseologica, epistemologica. Ed è in questo quadro che va intesa la raccolta di lavori svolti per differenti conferenze nell’ambito delle John Danz Lectures dell’Università di Washington. Ad una più attenta riflessione l’opera dà l’idea di essere una sorta di “work in progress” che suggerisce vari spunti di analisi e vie teoretiche da percorrere e sperimentare. La mia recensione consiglia al lettore di riportare viva l’attenzione sulle fondamenta teoretiche dell’opera – che coincidono con gli interessi di Blacking: musicali e umanistici – e sui relativi nessi.
Il libro è diviso in quattro capitoli:
- Il suono umanamente organizzato
- La musica nella società e nella cultura
- La cultura e la società nella musica
- L’umanità armoniosamente organizzata
Dopo aver privato il concetto di etnia dei pregiudizi più banali, Blacking pone fin dall’inizio una questione cruciale quanto assai attuale. L’autore si interroga sul progresso culturale e nello specifico musicale al fine di comprendere se la realizzazione dell’essere umano in quanto tale avvenga attraverso mezzi musicali e dunque se “essere musicale” possa e debba essere inteso come un diritto rivendicabile da ogni essere umano vivente su questo pianeta. I vari generi musicali appartenenti ad etnie più o meno note, influenti o dominanti, potrebbero non essere semplici divertimenti o passatempi, ma creazioni che più che un fine artistico abbiano quello di rendere umani gli attori e produttori di musica. L’accezione è non soltanto antropologica, ma anche musicale nonché epistemologica.
In questo senso Blacking descrive i Venda – una popolazione del Sud-Africa – e le loro abilità musicali come percettive e misurabili non tanto quantitativamente, quanto qualitativamente (a tal proposito alluderà a eventuali test musicali di impostazione prevalentemente occidentale). Ciò che l’autore vuole sottolineare è quanto la musica sia una azione cognitiva sociale che privata di un determinato contesto, non può essere valutata, né compresa in modo esaustivo.
Nel secondo capitolo si giungerà alla classificazione dei canti attraverso una serie di riflessioni prevalentemente sociologiche, ma anche di tipo linguistico. Si farà accenno anche a possibili costrutti cognitivi che potranno essere differenti da cultura a cultura. Centrale sarà la pluralità dei punti di vista, della relatività degli stessi senza che si cada nel relativismo.
Nel capitolo successivo sarà sviluppata una interessante riflessione sul “detto” e sul “non-detto”. Pare che per Blacking la musica sia ben altro che una semplice estensione linguistica e vada piuttosto differenziata da ciò che è dicibile e comunicabile attraverso il solo linguaggio. La questione non è rivolta alla sola musica africana, ma anche alla tradizione cosiddetta eurocolta. Ovviamente andrà analizzato se e quanto qui si voglia scardinare ogni tipo di metafisica linguistica a favore di un procedere funzionale.
Nel quarto ed ultimo capitolo vi sarà un riferimento ai canti infantili dei Venda con interessanti aneddoti che potranno riportare il lettore a ripensare quanto l’etnomusicologia sia una branca dell’antropologia cognitiva. A questo proposito riporto volentieri una citazione di Blacking: «La musica può fornire un’immagine del funzionamento, senza interferenze, della mente umana e perciò l’osservazione delle strutture muscali può rivelare alcuni dei principi strutturali su cui di fonda ogni vita umana».
L’identità dell’opera di Blacking Come è musicale l’uomo? si palesa dalla iniziale dedica: ‘a Meyer Fortes’, antropologo sociale e allievo di Malinowski, che nel 1952 spinse Blacking a studiare etnomusicologia con André Schaeffner. È un lavoro che nasce da una intersezione disciplinare e in virtù di ciò tra i suoi esiti più noti conta quello di aver conferito maggior significato al concetto probabilmente ancora embrionale di etnomusicologia. L’opera – che ha una forma alquanto antitetica a quella propria di un manuale dalle soluzioni pratiche e concrete – è ricca di analisi e riflessioni che rinviano a vari ambiti disciplinari. Fra le citazioni più significative – e in linea con il taglio preciso che tale recensione vuole mantenere – ricorderei: D.Cooke, M.Rocheah e C.Sachs e così come N.Chomsky, J.Dewey, A.Merriam e non ultima la filosofa e musicista S.Langer. Ne consiglio vivamente la lettura – per lo stile e per quel procedere in modo fluido e piacevole – anche alla luce di quelle che sono le nuove esigenze culturali di natura più “analitica” che “continentale”.
Blacking, John, Come è musicale l’uomo? a cura di Francesco Giannattasio, presentazione di Giorgio Adamo, trad.it. di Domenico Cacciapaglia (rivista dal curatore) (titolo originale: How musical is man?, University of Washington Press, Seattle-London 1973), Ricordi & Lim editori, 1986.