Festival A due voci 2024

Il Castello delle delizie. Bartók Balázs e il ritorno

Sabato 23 novembre 2023, ore 17
Pinacoteca Civica, via Armando Diaz, 84 – Como

Carlo Serra, filosofo

Ingresso gratuito su prenotazione a questo link

Poche opere novecentesche hanno la compattezza drammaturgica di A kékszakállú herceg vára (Il castello del duca Barbablù) pensata aassieme da un compositore come Bartók e da un teorico come Béla Balász: da un lato una rivisitazione lituana di un tema mitologico, dall’altro una storia in cui gli ambienti sonori e il labirinto che devono percorrere i personaggi raccontano, assieme, l’anima del Castello, del Duca, della protagonista femminile, in un crescendo ambientale di insostenibile tensione. Si pensi all’idea geniale di bloccare la profondità della scena, inchiodando lo spettatore alla frontalità della porta chiusa, concedendo solo l’articolazione della scala discendente sul primo piano della scena. L’effetto, meticolosamente pensato fin dai primi bozzetti, gioca con l’idea di una messa in ombra capace di nascondere il senso globale di volumetrie, rese innaturalmente inaccessibili. Potremo comprendere il senso di questa privazione, di quest’enfasi monodimensionale, solo quando tutta la scena sarà aperta, lasciando che il contenuto delle porte riverberi il proprio valore simbolico, ossia la sequenza dei colori, mostrando un lato sinistro di un gioco prefigurato fin dall’inizio, vale a dire che ciò viene tenuto ostinatamente al buio sulla scena, altro non è se non il buio interiore dello spettatore. In questa strategia, che si muove dal dentro al fuori, diventa essenziale farci intuire le cose terribili celate dalle porte, attraverso il regime intonativo dei protagonisti, secondo un modello che troverà la propria applicazione nelle colonne sonore o nella proiettività della funzione dei visi e dei primi piani che, dal cinema dei primordi fino al cinema di Hitchcock, troverà una forte esplicitazione nell’opera teorica del poeta ungherese.
Il medesimo intento sostiene la tecnica insistita di far tradurre nella gestualità dei personaggi. le reazioni emotive del castello, come accade per il gesto citato all’inizio del nostro piccolo saggio, dove Judit porta le mani sugli occhi, quando scopre che il castello “piange”, catturandone  in sé il climax, in una possessione progressiva, che il corpo racconta come torcersi di un’ambiente che lo opprime in forma crescente.

 

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