(prima parte)
 
Ecco due fulgidi talenti dell’Est Europa, assai giovani (rispettivamente Tbilisi, Georgia, 2000; Nizhniy Novgorod, Russia, 2001), che rappresentano, anzi incarnano, mondi sognati e possibili, e prospettive esistenziali legate alla figura e al ruolo dell’artista.
 
Giorgi Gigashvili: splendido pianista, è vincitore del secondo premio al Rubinstein 2023 – acclamato però come artista prediletto da un pubblico israeliano assai espansivo, competentissimo, così entusiasta da esplodere in un applauso fuori contesto alla fine del primo tempo del suo travolgente, caldo, magnetico Terzo di Prokofieff. 
Gigashvili è il catalizzatore di quella strana, autentica forma di amore che avvince il solista alla sua audience*. Il suo eccezionale carisma si sostanzia in primo luogo di talento immenso, che contempera vera maestria concertistica e apertura a generi musicali non classici. E poi l’appeal fisico forte, la simpatia innata; la grande umanità che traspare da ogni gesto. Il lieve difetto – la balbuzie – pare ornarlo di quella incrinatura che è segno di vocazione e benedizione.
 
Tutto ciò che Gigashvili dice ed è risulta interessante, in più sensi.
Innanzi tutto: Giorgi parla di sé in chiave stranamente schumanniana, abitato com’è – dice – da tre componenti, personalità, vocazioni. La prima porta il suo nome completo: Giorgi Gigashvili. In questa veste egli è il pianista classico, la punta del concertismo emergente. Innamorato del pianismo di Martha Argerich, suo idolo, è già compiuto interprete di nobilissime pietre miliari della letteratura, poste (racconta) sul suo cammino dalla mamma sin dall’infanzia: Mozart, Schubert, Prokofieff, Beethoven, prediletti subito e oltre ogni dire. E un primo coronamento di tale poliedrico amore è segnato dall’album Meeting my shadow (2023): l’assetto è classico, ma il cd risulta costituito da un florilegio di brani che insistono più sulla qualità accattivante della sua figura che sull’inserimento di questa in un quadro storicistico, ove l’artista risulti anello di catene accreditate di interpretazioni e scuole [https://www.youtube.com/watch?v=PsaD2F18wuY&list=PLg4xMa9HiKIAlJ3cdUuXNjHmsLFf1fhDV].
 
E’ il titolo, pure, ad essere interessante. Qual è la sua ombra? E’ ciò che trova nella musica stessa, e che lo apre ad altre dimensioni del possibile? E’ ciò che l’artista teme e trattiene, esorcizza o trasforma? E’ quel che incontrerà nel lungo viaggio esistenziale che lo attende? Oppure sua ombra è il pubblico stesso, desideroso d’emozioni forti, e munito di infallibili antenne, che profondamente lo ama e lo ispira?
 
La seconda componente ha nome Gigasha (talvolta traslitterato in Gigash): ecco il musicista aperto al pop, che canta e suona e si esibisce alla televisione georgiana sin da bambino. 
La personalità n. 2 – Gigasha – è l’artista modernissimo che non registra né coltiva significative differenze tra Beyoncé – che riconosce tra le sue fonti d’ispirazione – e Chopin (sic); è l’improvvisatore che fa duo con Nini Nutsubidze, voce poetica georgiana che con un filo di fiato canta canzoni tra il patriottico e il sentimentale (ascoltiamoli qui: https://www.youtube.com/watch?v=fECOhm4kWYM  –  percepiamo subito la melanconia infinita che fa di Nini un simbolo, e che lui, Giorgi-Gigasha, controbilancia con abbracci solari e sorrisi pieni di umanità); Gigasha è pure il pianista di gruppi decisamente pop come i Janngo; e si fa riprendere a casa, mentre improvvisa su pianoforte verticale un accompagnamento alle melodie di Kato Kvaratskhelia….senza spocchia né complessi di sorta. იავნანა — კატო კვარაცხელია & გიორგი გიგაშვილი • Iavnana — Kato Kvaratskhelia & Gigash
 
Anche quando la maestria pianistica di Gigasha appare del tutto sproporzionata alla caratura degli altri musici, lui si fa capace di condurre il gioco con tanta naturalezza – amorosamente coinvolto com’è in ciò che suona – che il risultato è armonioso e comunque significativo.
E’ caloroso questo ragazzo, e grato: a molte donne: alla madre, alle colleghe artiste e alla manager Sonya, spesso nominata, che “crede in lui” e che “gli legge nell’anima”, e che lui recepisce “like a mother figure” (sic qui, https://www.youtube.com/watch?v=fY040fnVt4Y&t=25s, al min. 14) . E il dato dovrebbe fare riflettere. Sonya Simenauer è capace di intuire e valorizzare la sua verità interiore, che il pubblico infallibilmente capta. Ella non ricopre il ruolo del semplice impresario, ma del mentore, del coach, del punto di riferimento, dello specchio.
 
In concorso, corrisposto da un pubblico spesso in standing ovation al suo indirizzo, Giorgi sorride largamente ed è felice, ma si commuove, e non lo nasconde: qui l’esaltante suo Terzo di Prokofieff completo, con bis finali https://www.youtube.com/watch?v=YBQKGZsjGJ0
 
 Lontanissimo dall’estremamente compito Ferro, che pure ha offerto interpretazioni di gran classe – e che però in confronto pare più vicino al mondo di Lipatti anziché al nostro – Giorgi sa improvvisare: ti è vicino, e non ti esclude, ma seduce con una autenticità indubitabile, annullando o fendendo con naturalezza le barriere della musica classica, e procedendo in diagonale, indossando, nella medesima serata, numerose vesti. Spesso, ripreso dalla tv nazionale come dal Beethovenfest di Bonn, passa dalla musica leggera a Schumann a Scarlatti, e dalla improvvisazione al bis poetico, dividendo con amici gloria, popolarità e logica dello spettacolo: e il pubblico, soprattutto georgiano, compartecipa a un evento ben più che intrattenitivo, ove è in gioco il senso della vita stessa. https://www.youtube.com/watch?v=joQBDoT7_-A
 
Perché, ecco, la terza componente, di Giorgi è legata all’attivismo politico: l’identificazione del puro nome di battaglia con quello della amata Georgia è autoevidente e fortissima, e segno di destino ed elezione. Né più né meno, Giorgi raccoglie e riscatta il cuore stesso della sua gente, che nella intangibile e infinita figura dell’artista vede da tempo immemorabile un riflesso del popolo, e un motivo di orgoglio che discende da prestigio poetico, prima ancora che carrieristico. Giorgi\Georgia risponde ai suoi con il medesimo impegno, con eguale tasso di amore: anch’egli, come i giovani conterranei, è incline a vedere negli USA un baluardo contro la prepotenza postsovietica, e nel way of life occidentale (più precisamente statunitense) un sogno, un approdo, un ideale: e una diga contro imperialismi russi viciniori, ritenuti antistorici e insopportabili, aggravati da censure e palesi limitazioni del talento.
Così è del 2023 il suo primo concerto alla Carnegie Hall, che il pianista vive come consacrazione a una appartenenza, a una amicizia che salva e onora: non solo lui, ma l’intera Georgia, e il significato della sua storia, e il senso del suo futuro.
 Il lifestyle che l’estremo occidente porta con sé, divertissement compreso, seduce e ispira.  (Qui l’intervista completa https://www.youtube.com/watch?v=rhbqXvkeFl4; v. a questo preciso proposito min. 5) La grande serata tra il rock e il politicamente impegnato non è mai solo innocua messa in scena né pura catarsi né sballo, ma innesco, denuncia, segno; è evento che vive del Noi (non del puro Io senza Tu), ovvero di una dimensione che la pavida società occidentale pare avere cinicamente perduto di vista, incapace com’è, oggi, di assaporarne il senso.
 
Nella grande intervista in lingua georgiana (qui un tratto: https://www.youtube.com/watch?v=afGx_ew1XFE) Gigashvili ripercorre il clima delle giornate precedenti la sua partenza per il Concorso Rubinstein: clima difficile, copiosamente attraversato da folgori rivoluzionarie e manifestazioni di protesta politica cui l’artista è chiamato a partecipare – e non si sottrae al suo compito (min. 7).
 
E’ indubbiamente un animale da pubblico, come in gergo si usa dire: uno che ti raggiunge, che vuoi vedere, e che giustamente è ripreso in viso, mentre suona. Lontanissimo dalle volgarità ridanciane di Lang Lang, il suo viso dice molte cose: sulle espressioni del volto si riverbera irredentismo, dolore secolare, riscatto, ricordo, lacerazione, nuova speranza; il tratto neoromantico, che lega certe colonne interpretative a una sorta di autobiografia ampia di Giorgi\Georgia, è evidentissimo, e la sua traduzione del repertorio classico dialogica e aperta. E di una vitalità straordinaria. La sua Stalingrad (la Settima Sonata di Prokofieff), anche quella del Gigashvili diciassettenne (se ne trova risultanza su youtube), è mossa da rubati, frantumata da rigature e poi ricomposta da algoritmi che non avevamo mai sentito, né nella concezione sovietizzante (anch’essa sublime) di Ashkenazy e di Pollini, né nella interpretazione visionaria di Richter e di Alexei Sultanov, né, ancora, nella resa inconcepibilmente barocca, genialissima, di Glenn Gould: Gigashvili fa invece dell’intero pezzo – soprattutto del Precipitato – una colonna sonora della sua rivoluzione permanente; e lotta contro consuetudini interpretative ingessate e convenzionali, immettendovi potenti correnti sovversive; quel Prokofieff è forse immaginato come compagno di battaglia cui restituire voce, temperie romantica, instabilità, sogno. 
Nella voce di Giorgi\Georgia risuona un coro che scandisce all’unisono i versi di Eschilo:
 
E faccio voti che mai la Stasis
insaziabile di lutti
si scateni in questa città,
né la polvere, imbevuta di nero sangue dei cittadini, mieta sciagure 
[…] che vogliono sciagure a saldo di sangue.
Ma contraccambino
gioia con gioia, nell’intento concorde al bene comune,
e odino con unanime cuore: a molte sventure questo
è rimedio tra i mortali 
(Eschilo, Eumenidi 978-88).
 
Rimedio alla sciagura è dunque l’arte; arma di lotta e di deterrenza è l’arte; sogno di nuove albe è ancora l’arte, amplissimamente intesa.
 
Il suo Mozart è fresco e grave a un tempo (come l’andatura fisica che caratterizza lui, Giorgi: dinoccolato e insieme leggermente goffo, ragazzone dai pantaloni corti fuori dalla sala – e alato messaggero dell’indicibile non appena sale sul palco). Il suo Beethoven è affrancato dalla visionarietà russa che talvolta inclina verso il bozzetto e la descrittività impressionistica, o all’opposto tende verso una forma ponderosa, dilatatissima e tragica: no, è un Beethoven giovane e saldo, che sta in piedi veicolando tradizioni germaniche non lontane; e che però è epidermico e plastico, già slavo e sempre cantabile, sorridente e vitalissimo.  https://www.youtube.com/watch?v=QhLP4GLPRIY
 
Comunicativa abnormemente efficace, genialità e tratto messianico caratterizzano anche l’altra alta figura d’artista, che però esprime e veicola altre sublimità, altri mondi, altri talenti – quelli legati all’anima russa più nobile e pura: Valentin Malinin.
Il confronto tra i due, e qualche conclusione che proveremo a trarne con riferimento ai nostri tempi e luoghi, sarà l’oggetto della prossima puntata.
 
 
 
NOTA
* Forma di amore di cui andrebbero finalmente indagati i presupposti e i possibili sviluppi, e che, come vedremo, può essere veicolo di vere rivoluzioni innescate da un’arte agìta.
 
 

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