Il corpo come origine della musica

La figura del compositore tedesco Dieter Schnebel (1930) si pone all’interno di un’originale linea di ricerca che esplora le potenzialità della voce e del gesto in una sorta di riflessione antropologica e filogenetica del fare musica. Sin dai primissimi anni Sessanta, Schnebel partecipa quindi a quel clima di crisi dell’approccio serialista che trova una delle sue più efficaci controproposte nel gestualismo[1], ossia in una serie di esperimenti musicali che conferiscono piena e totale preminenza al comportamento fisico dell’esecutore. L’interazione non funzionale con oggetti quotidiani a fini rumoristici o la distruzione di strumenti musicali accademici sono alcune tra le principali vie perseguite dal fronte del gestualismo statunitense di Cage e Fluxus, alla luce di un tentativo neo-dadaistico di appropriazione e ridefinizione estetica del quotidiano mediante un ludico ed energetico vitalismo. Ben diversamente, Dieter Schnebel propone invece un gestualismo regressivo, o meglio primitivo, che trova il proprio fulcro nella riscoperta di una vocalità primigenia e di un comportamentismo elementare, votato alla riscoperta del corpo come origine della musica, secondo quanto ci propone l’organologia di André Schaeffner, che ha visto la nascita della musica nel piede che batte il suolo e nella mano che percuote le superfici, insieme naturalmente a una vocalità svincolata da necessità comunicative o da costrizioni semantiche, libera cioè di pronunciarsi in puri ritmi fonetici o garruli vocalismi.

Accanto a quelle che potrebbero essere le numerose influenze musicali esotiche, penetrate ormai appieno nel mondo musicale occidentale, non vanno certo tralasciate le influenze giocate sul compositore tedesco da Henry Cowell, che teneva corsi sulle musiche extra-europee, dallo stesso Cage, campione di un’integrazione orientalista in campo musicale, e dai musicisti gestuali di Fluxus, soprattutto in opere come Réactions (1960-61), Visible Music (1960-62) e Anschläge-Ausschläge (1965-66), dove si rintraccia il principio di un’indagine musicale del corpo che prenderà nel corso del tempo uno sviluppo sempre più autonomo e originale. È ciò che accade già in alcune parti corali di Für Stimmen (…missa est), realizzata tra il 1956 e il 1969, quali :! (madrasha 2), un vero e proprio “sfogo non verbale” che esplora l’articolazione fonetica mediante esercizi labiali, linguali, gutturali e nasali per intonare incantatorie formule di glorificazione a Dio, oppure AMN (“amen” in ebraico), dove lo spazio musicale si colora di estenuate meditazioni e urlati mantra, mentre in Choral-Vorspiele, spasmi, ansimi e frammenti vocali si intessono su un sacrale organo. Le sue Glossolalie (1959-60) sembrano estremizzare invece lo Sprechgesang di derivazione schöenberghiana, per cui il parlato si fa musica e la musica linguaggio; ma è con le note Maulwerke, realizzate fra il 1968 e il 1974, che l’esplorazione di una vocalità primigenia, precategoriale, incentrata sull’urlo, sull’ansito, sul flatus vocis, si espande, completandosi in Körpersprache (1979-80), per trentanove esecutori, dove si ripercorre l’evoluzione dell’uomo attraverso gesti e movimenti corporali. L’esplorazione filogenetica del corpo come strumento musicale trova un’emblematica esplicitazione in Produktionprozesse: Mundstücke, eseguito per la prima volta a Monaco il 29 agosto 1972 (a vent’anni esatti dalla prima assoluta del cageano 4’33’’), una serie di brani incentrati sull’atto fisico della produzione sonora, esercizi per la lingua e per la gola che deformano la parola insistendo sulle sole inflessioni tonali dell’atto fonatorio, alla riscoperta di una musica “incarnata”, quasi sul filo di un’indagine esistenzialista-fenomenologica che, del resto, proprio in quegli anni aveva ormai trovato ampia diffusione in ambito filosofico. In questo può aver giocato un ruolo importante anche l’influenza di Martin Heidegger, di cui Schnebel aveva, di fatto, seguito le lezioni universitarie a Friburgo tra il 1949 e il 1952. Pur nell’impegno a rivalutare il primato della corporalità, la ricerca musicale di Schnebel non ha inoltre tralasciato la possibilità di ricerche di stampo concettuale, affiancate oltretutto da saggi sulla teoria e sulle diverse tipologie di musica visuale, trovando una sintesi emblematica nel suo MO-NO: Musik zum Lesen (1969), una raccolta di partiture vergate a segni lievi e filiformi, spartiti ipo-codificati[2] per una vera e propria “musica da leggere” e da ascoltare nella propria mente.

Nonostante la valenza religiosa di molta sua produzione – Schnebel ha una formazione teologica ed è pastore protestante – va rilevato come la liberazione della voce in tutta la sua energia primordiale, al grado zero dell’espressione umana, sembri favorire lo sgorgo di tutte quelle pulsioni che scalpitano nell’Es, per dirla in termini freudiani, emergendo prorompentemente senza condizionamenti né costrizioni. Quella di Schnebel è una ricerca che si colloca perfettamente agli albori della nuova vocalità contemporanea, destinata a protrarsi a tutt’oggi: sono, infatti, questi gli anni dei primi esperimenti vocali compiuti sul piano internazionale da Michiko Hirayama, Meredith Monk o Joan La Barbara, seguite di lì a breve da Fátima Miranda, Diamanda Galás e Demetrio Stratos, tutti diversamente interessati a recuperare le istanze canore e rituali di antiche culture orali filtrandole attraverso opportuni coefficienti di attualizzazione, tecnologici e non. Nel corso dei suoi lunghi cicli come Re-Visionen (1972-92), Tradition (1975-95), Psycho-Logia (1977-93) o Majakowskis Tod – Totentanz (1989-98), così come in singoli brani quali Mahler-Moment (1985), Verdi-Moment (1989) o Schumann-Moment (1989), l’esperienza compositiva di Schnebel si colora di citazionismo colto, con riferimenti alla musica classica, alla mitologia greca o alla poesia di primo Novecento, ma l’interesse per l’esplorazione voco-corporale persiste, proseguendo anche in cicli quali Laut-Gesten-Laute (1984-85), Zeichen-Sprache (1987-89), Museumsstücke (1992-95) o Schaustücke (1995-99), tutti variamente orientati verso un riscatto del corpo come strumento musicale originario.