Duetti al telefono e oggetti parlanti: il mondo sonoro di Laurie Anderson

Nel corso del Novecento i rapporti tra arti visive e musica si fanno sempre più stretti e proficui, dando vita a stimolanti e articolate esperienze estetiche. Dalle nicchie delle avanguardie artistiche e musicali, questa contaminazione tra i linguaggi arriva a toccare anche le punte più intelligenti della cultura artistica e musicale di massa, capaci di assimilare e “normalizzare” ardite sperimentazioni mediandole in fruttuosi compromessi espressivi. Una delle rappresentanti più emblematiche di quest’avventura è la statunitense Laurie Anderson (1947), divenuta nota al grande pubblico nel corso degli anni Ottanta e Novanta per brani come O Superman (1981), incluso nel noto spettacolo Big Science del 1982, e In Our Sleep (1995), cantato insieme al marito Lou Reed, storica voce dei Velvet Underground. Per quanto consacrata come stella del firmamento musicale contemporaneo, il percorso della cantante statunitense ha le sue radici nelle arti visive, nella scuola del grande artista e teorico minimalista Sol LeWitt, cui Laurie Anderson avrebbe presto dedicato un omaggio musicale, utilizzando un suo disegno come partitura per archi, Quartet for Sol LeWitt (1977), dove i valori delle note sono stati stabiliti secondo le posizioni dei numeri del disegno stesso.

La ricezione e la rielaborazione della lezione di Fluxus, network internazionale di artisti e musicisti d’avanguardia dediti a pratiche intermediali derivate dal gestualismo cageano, entra presto nelle sue performance, come si evince dai suoi primi events quale Car Horn Concert, concerto per automobili da lei realizzato a Rochester (nel Vermont) nel 1972 e che prevede un’orchestrazione di clacson basata su una grande partitura in cui a ogni colore corrisponde un autoveicolo, operazione che si rifà chiaramente a Motor Vehicle Sundown (1959) di George Brecht. Una ricerca che indaga le relazioni tra il suono e lo spazio al di fuori di contesti deputati caratterizza anche altre operazioni come Chord For A Room (1972), in cui un ambiente viene trasformato in una gigante coda di pianoforte, con corde metalliche tese tra le pareti da percuotere con un martello, oppure Duet For Violin And Door Jamb (1976), dove la musicista americana sfrutta la larghezza del vano di una porta per determinare la lunghezza dei colpi d’archetto da dare sul violino; microfoni fissati agli stipiti della medesima porta provvedono ad amplificare i colpi dell’archetto, che si mescolano alle note del violino e ai rumori provocati dai calci che, di tanto in tanto, lei stessa tira alla porta.

Riconducibili a uno spirito Fluxus sono anche i duetti New York Social Life (1977), realizzato al telefono, e Stereo Decoy (1977), realizzato sul Niagara: sulla riva canadese del noto fiume che divide gli Stati Uniti e il Canada viene riprodotta la registrazione di un brano per violino e piano, mentre sulla riva opposta, dall’alto di una roccia nell’Art Park Lewiston, lo stesso brano viene suonato dal vivo, provocando un suggestivo effetto stereofonico, un rimbalzo delle stesse sonorità sul confine tra i due Paesi. A differenza di quelle Fluxus, le performance più mature e originali di Laurie Anderson hanno un carattere decisamente meno eversivo, oltre che una durata temporale molto più estesa e un impianto narrativo che caratterizzeranno sempre più la loro autrice come storyteller fortemente autobiografica. Già in Duets On Ice (1975), brano la cui durata è determinata dal lento scioglimento di un blocco di ghiaccio che fa da palchetto alla musicista, incastrata in esso con le lame dei pattini, l’azione musicale è inframezzata da brevi aneddoti raccontati dalla performer stessa e dà una prima prova di quell’interesse per l’oralità, la narratività e il confronto conversazionale che caratterizzerà via via tutti i suoi spettacoli musicali successivi. In United States 1-4 (1983), live della durata di sette ore e diviso in quattro parti, la stessa Anderson narra storie incentrate su molti aspetti della cultura americana e accompagnate da immagini e musica, oppure in Stories From The Nerve Bible (1995), complesso live multimediale dove teatro, danza, narrazione, rock sperimentale, video e improvvisazione sonora elettronica si fondono in un’unica dimensione performativa, con risultati resi possibili grazie all’uso di sofisticati supporti tecnologici attraverso cui manipolare la propria voce, così da attribuirla ai suoi vari alter-ego (marionette, cloni), oppure far parlare oggetti di scena quali candele, bastoni, cuscini, o ancora trasformare il proprio corpo in un ensemble di percussioni elettroniche.

L’aspetto più interessante e innovativo dell’attività di Laurie Anderson consiste, infatti, nella pratica (mutuata da John Cage) di “preparazione”, cioè di modificazione degli strumenti musicali tradizionali, da svolgersi ora in direzione tecnologica. Se lo strumento prediletto da Cage per la pratica “preparatoria” era il pianoforte, per la Anderson è il violino, reinventato in diversi modi: il Self-Playing Violin (1974), utilizzato per la prima volta in Duets On Ice, è un violino con un altoparlante interno che riproduce a ciclo continuo un brano pre-registrato. La pratica di modificazione del violino trova di volta in volta esiti nuovi e diversi, ma sempre orientati a una significativa collisione tra tradizione colta e tecnologia di massa: il Tape-Bow Violin (1977), progettato da Bob Bielecki e utilizzato in una serie di concerti di fine anni Settanta intitolata Like a Stream, è un violino con una testina di riproduzione Revox al posto del tradizionale ponticello, da suonarsi con appositi archetti con frammenti di nastro magnetico pre-registrato al posto dei crini, mentre il Viophonograph (1977), usato per la prima volta nel dicembre del 1978 alla Nova Convention tenutasi all’Entermedia Theater di New York, è un violino modificato per funzionare come un giradischi. Altri due importanti esempi di violino “preparato” sono il Neon Violin (1980), violino trasparente con all’interno della luce al neon e il Digital Violin (1984), progettato da Max Matthews dei laboratori Bell e personalizzato da Bob Bielecki, che riproduce differenti suoni scaricati da disco rigido.

Parallelamente alla modificazione tecnologica degli strumenti musicali, Laurie Anderson inizia a dedicarsi alla realizzazione di installazioni sonore che richiedono un’attiva partecipazione del fruitore. Jukebox, presentata alla Holly Solomon Gallery di New York nel 1977, è un vero e proprio juke-box contenente circa una ventina di brani della stessa Anderson incisi su vinile, mentre The Handphone Table (1978) è un tavolo in legno su cui i fruitori vengono invitati a poggiare i gomiti coprendosi le orecchie con le proprie mani a fungere da cuffie: le braccia fungono da canali di trasmissione che veicolano una registrazione, in una sorta di ripetizione frasale dal carattere intimo e confidenziale. Numbers Runners (1978), invece, è una cabina telefonica interattiva che registra e riproduce in differita le risposte del fruitore alle domande che una voce registrata gli pone al telefono, mente Dark Dogs (1980) consiste in un enorme ambiente buio in cui sono appesi dieci enormi ritratti leggermente sfocati collegati a una console dalla quale il fruitore può selezionarne uno a piacere e far partire così una voce pre-registrata che racconta un sogno. Riprende infine il concetto di “duetto” la piccola installazione Tilt (1994), una scatola che, se inclinata da un lato riproduce il canto di una voce femminile, se inclinata dal lato opposto riproduce il canto di una voce maschile, e se tenuta in orizzontale riproduce simultaneamente il canto di entrambi.