La gran via a Nietzsche: le musiche di Torino

Non si riflette mai abbastanza sul legame che unisce la musica alla filosofia. Una vicinanza che riguarda la sorgente originaria alla quale attingono, la medesima fonte a cui si rivolge certamente Nietzsche nella sua incessante meditazione sulla natura della giubilazione musicale che costituisce la radice comune della sua riflessione filosofica sul “tragico” e il “dionisiaco”. Questo è il punto dal quale si dovrebbe partire tutte le volte che nei suoi scritti si incontra anche solo un semplice accenno alla musica. Parole che non si limitano ad esprimere semplicemente un gusto o un’estetica, ma ci indicano sempre una precisa via filosofica.

L’ultima testimonianza musicale che Nietzsche ci lascia nelle sue lettere riguarda le musiche ascoltate a Torino dell’autunno 1888.  Ultima tappa di un lunghissimo viaggio musicale che dopo la sua formazione pianistica, le sue composizioni, gli studi da filologo sul ritmo nella Grecia antica, il suo rapporto con Wagner e il wagnerismo, giunge ai francesi, al mediterraneo fino alla rivelazione di Carmen.

E’ la Francia, la sua idea di Francia, il luogo geografico e culturale nel quale cerca di trovare un punto di equilibrio che riesca a conciliare il suo precario stato di salute con la spinta ideale che lo condurrebbe certamente molto più a sud.

Nell’anima dei Francesi vi è una sintesi quasi riuscita di nord e sud, che permette loro di comprendere molte cose e impone loro di farne altre che un inglese non capirà mai; […] uomini che sanno amare nel nord il sud e nel sud il nord.

Non è quindi un caso che l’ultima città scelta ed amata da Nietzsche fu Torino. Città italiana dalla storia e dai tratti “francesi” dove ritrovare “la quiete dell’eremita in strade straordinariamente belle e larghe”,  la luminosità, la vegetazione e il fiume che gli ricordavano la pittura di un grande artista, sempre francese, maestro del paesaggio ideale: “Mi sembra di vivere ininterrottamente in un quadro di Claude Lorrain”.

Claude Lorrain – Paesaggio con figure danzanti (1648)

Un percorso che, come sempre, non può non coinvolgere la musica. Non certo la musica di francesi decadenti e “germanizzati” quali Lalo, Guiraud o Massenet: una musica dai profili troppo sfumati, non sufficientemente chiara e vitale. Sono altri gli autori “francesi”, non solo per nascita, ma per attitudine a cui si rivolge. Certamente Berlioz, ma in particolare Offenbach, Audran, Delibes, Von Suppé, e, ovviamente, Bizet. Musicisti capaci di cogliere nel ritmo e nella leggerezza, l’essenza di un’esistenza idilliaca e redentrice.

Se molti di questi compositori furono scoperte a volte occasionali degli ultimi anni, Offenbach e le sue operette, furono invece una passione musicale che ebbe inizio poco dopo quella per Wagner. In due lettere del 1867 e 68 un Nietzsche ancora ventenne cita con gioia La Belle Hélène arrivando a definire il compositore francese “Sant’Offenbach”. Passione che ritorna vent’anni dopo in diverse lettere e in un celebre frammento postumo del 1887.

Offenbach: musica francese con uno spirito voltairiano, libero, tracotante, con un piccolo ghigno sardonico, ma chiara spiritosa fino alla banalità (egli non trucca) e senza le mignardise della sensualità morbosa o biondo-viennese.

Che dire poi dell’impatto emotivo generato a Nizza nel 1886 da un’altra operetta che ebbe molto successo in quegli anni come il Boccaccio di Von Suppé: una semplice alternanza di duettini, serenate e romanze leggere.

Domenica scorsa per la malinconia sono scappato a teatro: vi si rappresentava Boccaccio, Un’ operetta che ormai conosco in tre lingue. Ma quanto superiore alle altre era l’interpretazione francese. Ero stupefatto questa eleganza e finezza nei gesti, questa profonda affabilità nell’interpretazione […] Io stesso – per quanto assurdo – ho avuto per tre, quattro volte le lacrime agli occhi. La grande allegria è quel che adesso mi commuove di più.

E giungiamo a Torino. L’ultimo francese ascoltato da Nietzsche nella città piemontese nel 1888 è Edmond Audran con la sua Mascotte.

A due passi dal mio alloggio si trova la piazza principale, con l’antico castello medioevale: su un lato c’è un piccolo, grazioso teatro, davanti al quale la sera (dalle 8 1/4) ci si siede all’aperto, si mangia il gelato, e in questo periodo si può ascoltare una deliziosa rappresentazione dell’operetta francese mascotte di Audran ( – che conosco bene dai tempi di Nizza). Questa musica, che non ha mai cadute di gusto, ricca di piccole melodie aggraziate e spiritose, rientra pienamente nel genere di esistenza idilliaca di cui ora sento il bisogno di sera.

Su Audran ritornerà un mese dopo sempre in una lettera indirizzata a Heinrich Köselitz

Chieda un po’ come definisce l’operetta Monsieur Audran: “il paradiso di tutte le cose delicate e raffinate” comprese le sublimi dolcezze. Ho sentito recentemente la Mascotte – tre ore senza una sola battuta di vienneseria.

Edmond Audran

Questa musica, descritta da Nietzsche con questa convinzione, comprende brani dai titoli “spiritosi fino alla banalità” come la Chanson de l’Orang-outang ed il famoso Duo des dindons il “duetto dei tacchini”.  Questi sono i brani che accompagnano Nietzsche nell’ultima fase della sua vita, quella della riflessione filosofica più sofferta. Queste musiche, ma anche il modo di rappresentarle e di viverle nei piccoli teatri affollati o nei caffè, tra soubrette e capocomici, luoghi ben diversi dal mondo aristocratico e borghese di Bayreuth, sono la testimonianza sonora e tangibile delle vicissitudini di un corpo che sta mutando il proprio sentire, che freme e gioisce fino alle lacrime, scosso dalle vibrazioni di quelle armonie dalla “leggerezza divina”, non altre.

E’ questo l’invito che con estrema fermezza rivolge anche all’amico Peter Gast che in una precedente lettera si lamentava con Nietzsche del successo che aveva questo genere di musica che lui considerava minore.

Mi agita invece profondamente tutta un’altra questione – quella dell’operetta, sollevata dalla Sua lettera. Non ci siamo più visti da quando per me si è fatta luce su questa questione, e QUALE luce! Finché lei continua a considerare l’idea di “operetta” con una qualche degnazione, dando per scontata una certa volgarità del gusto, Lei è – mi perdoni l’espressione forte! – solo un tedesco… […] Esiste oramai una vera e propria scienza della finesses del gusto e dell’effetto. […] Ed ecco qui una sorta di ricetta. Per i nostri corpi e le nostre anime, caro amico, un lieve avvelenamento di “parisina” è semplicemente una “redenzione” – diventiamo noi stessi, cessiamo di essere tedeschi cornuti… Mi perdoni, ma sono stato capace di scrivere in tedesco solo dal momento in cui sono riuscito a immaginarmi i parigini come lettori. Il caso Wagner è musica da operetta…

Precisi indizi che ci invitano a soffermarci sull’ovvietà sonora inaggirabile di quelle musiche. Una predilezione che certamente confonde e disorienta lo studioso e il critico musicale e ancor di più il filosofo che solitamente trascura queste ultime testimonianze. E’ come se Nietzsche ci invitasse a mettere sullo stesso piano, se non oltre, autori come Offenbach e Schumann, Audran e Wagner, Von Suppé e Brahms. Compositori che la storia della musica considera a dir poco secondari e che in ambito accademico hanno posizioni assolutamente inconciliabili. Eppure questi sono i nomi dei musicisti che Nietzsche desidera ascoltare, quelli che ci indica come i più prossimi alla sua filosofia.

A pochi giorni dalla follia l’ultima scoperta musicale che gli permette di ampliare in maniera significativa la sua idea di operetta, è la Zarzuela spagnola: un genere di spettacolo “lirico leggero” che in quegli anni venne presentato anche in diversi teatri europei. In una lettera da Torino del 16 dicembre al solito amico e confidente Köselitz, Nietzsche racconta di esserne rimasto terribilmente colpito.

Operetta spagnola. La gran via, ascoltata due volte – pezzo molto caratteristico di Madrid. Non è davvero qualcosa che si possa importare: occorrerebbe essere per istinto dei farabutti o dei dannati – e oltretutto con un piglio solenne… Un terzetto di tre solenni vecchie, grandissime canaglie è la cosa più forte che abbia sentito e abbia visto – anche come musica. Geniale, impossibile a classificarsi… […] Quattro o cinque pezzi di musica che bisogna sentire […] La belle Hélène di Offenbach, a seguire, non ha semplicemente retto il confronto. Sono scappato via

E’ curioso e quasi grottesco immaginare come la vita cosciente di Nietzsche, attraversata per quasi trent’anni dalle musiche degli autori più celebrati, si concluda sulle note dei compositori spagnoli Federico Chueca e Joaquin Valverde. Quello stesso corpo un tempo rapito dalla “sconfinata grandezza” di Liebestod, il canto finale del Tristano e Isotta di Wagner, ora gioisce solo al suono del Tango de la Menegilda o del Chotis Yo Soy el Elíseo.

E’ questo il singolare epilogo musicale della vita di Nietzsche, l’ultimo grande enigma che ci lascia appena accennato in queste brevi descrizioni delle sue ultime emozioni vitali legate alla musica. Forse dipenderà solo dalla nostra capacità di saper ascoltare queste musiche “da operetta”, la possibilità di cogliere fino in fondo il valore vivido ed immanente del suo ultimo lascito filosofico.

Federico Chueca