Elica. Un approccio olistico alla dimensione del suono

Guardando un colore, ascoltando un suono, assaporando un alimento, annusando una fragranza, sfiorando un oggetto e cercando di andare al di là della sua veste esteriore e della sua corporeità, ci imbattiamo in un universo emozionale che difficilmente risulta traducibile a parole. Non devo poter ascoltare solo con l’organo deputato all’ascolto, l’udito, ma anche con gli organi che albergano nel mio corpo, tra cui gli organi di senso. È da questa premessa che nasce la mia ricerca, che considera l’improvvisazione una creazione personale in cui il performer non fa solo riferimento all’infinito bagaglio storico legato alle forme improvvisative, ma anche e soprattutto a regole personali, acquisite attraverso l’esperienza sensoriale. Questo progetto dopo due anni di ricerca condotti con i musicisti Francesco Massaro e Adolfo La Volpe, ha prodotto un primo cd audio, Elica, pubblicato nel 2010 con l’etichetta Silta Records, e due libri dai quali è tratto questo articolo: Questo strano strano mondo. Giochi per Imparare a improvvisare, edito da La Meridiana nel 2010, ed Elica. Il conto di un soggetto con se stesso, edito da Florestano nel 2014. Il progetto è stato anche proposto e sperimentato con un gruppo di bambini di un’età compresa tra i due e i quattro anni. Durante gli incontri laboratoriali, i bambini, sono stati invitati ad ascoltare il suono prodotto dalla frantumazione di un uovo, piuttosto che dall’apertura di un’arancia, o dal contatto con la farina piuttosto che con i granelli di zucchero. Coinvolgere i cinque sensi è stato inevitabile e questi hanno creato un cerchio senza inizio né fine, per l’appunto un’elica.

Partendo dal presupposto che una performance sia una prestazione, e che questa a sua volta sia qualcosa che si compie per qualcuno o per se stessi, soddisfacendo quindi due interessi, personale e di colui che fruisce la performance, si può affermare che il performer porga se stesso. Il performer infatti, si mette a nudo, ovvero condivide il suo essere, cioè la parte più profonda del sé, inteso come elemento che organizza e gestisce gli stimoli ambientali e le relazioni oggettuali, quindi il principale mediatore della consapevolezza. Il corpo mi collega al mondo attraverso gli organi di senso non solo esterni – udito, vista, tatto, gusto, odorato – ma anche interni, dall’intestino alla vescica, grazie a particolari terminazioni nervose. Il messaggio percepito genera nell’immediato sensazioni, più o meno gradevoli, quindi viene codificato dalla coscienza e rimesso in circolazione secondo metodologie personali e soggettive. L’emozione ci smuove, ci muove e ci commuove, offrendoci una carica motivazionale che aggiunta a tutte le altre, costituisce il mondo delle motivazioni che ci fanno vivere. Queste motivazioni ci permettono di esplorare. L’improvvisazione è una composizione istantanea, si riferisce a qualcosa che si sta creando hic et nunc, nel preciso momento in cui si realizza, ma che costituisce anche l’inizio, il divenire e la fine di un percorso di studio, di esplorazione e di ascolto. Per far questo occorre imparare ad uscire dal proprio guscio (inteso anche come ancoraggio ad una tecnica acquisita e rassicurante) e permettere ai propri sensi di sperimentare altro che possa aiutare a considerare nuovi aspetti di un oggetto, di uno strumento. Non posso cogliere la grandezza sonora di un corpo se lo spazio in cui esso si muove è occupato dall’idea che io ho di questo corpo e di questo suono. Il mio atto improvvisativo, la mia performance, è ciò che c’è tra la mia esperienza e il mio linguaggio: il mio reale, l’idioma del mio sé (dal greco ῐ̓δῐ́ωμᾰ, particolarità, peculiarità di stile e di linguaggio). Tanto il prodotto conclusivo è autentico quanto il processo che lo ha realizzato mi ha permesso di scavare nei meandri di tutto ciò con cui interagisco, per coglierne l’essenza.

Le neuroscienze ritengono che la catalogazione delle attività sensoriali non venga sempre rispettata. I nostri sistemi percettivi, infatti, solo intimamente correlati tra loro e le nostre sensazioni non riguardano quasi mai un solo senso. Quando si verifica un corto circuito tra i sensi, siamo in presenza della cosiddetta sinestesia (dal greco συν, insieme e αισθησις, percezione) significa letteralmente percezione simultanea, un fenomeno di interazione sensoriale in cui uno stimolo induttore, cioè una percezione reale relativa ad un senso, può essere avvertita simultaneamente da un differente organo di senso. Questo mi è apparso chiaro durante gli incontri laboratoriali con i bambini, durante i quali abbiamo sperimentato anche l’utilizzo dei colori e la connessione con gli organi di senso: proprio come descrive Kandinsky ne “Lo spirituale dell’arte”, mi sembrava che l’anima viva dei colori emettesse un richiamo musicale, quando l’inflessibile volontà del pennello strappava loro una parte di vita. Sentivo a volte il chiacchiericcio sommesso dei colori che si mescolavano, era un’esperienza misteriosa; sorpresa nella misteriosa cucina di un alchimista.