Etty Hillesum, l’armonia delle differenze

Se fosse una partitura, il pensiero di Etty Hillesum (1914-1943) sarebbe probabilmente uno spartito sinfonico, per orchestra. Perché al culmine della sua breve vita, poco prima di essere deportata ad Auschwitz, dove avrebbe trovato la morte nel 1943, la giovane intellettuale olandese autrice delle Lettere e di un Diario conosciuti in tutto il mondo, aveva teorizzato la possibilità di far fronte all’odio con un approccio inclusivo alla vita.  Con una frase che ancora oggi risulta difficile da comprendere, Etty auspicò di «vivere con se stessi come se si vivesse con un’intera folla di persone» (Diario, 22 settembre 1942). Fino a un anno prima dentro di sé Hillesum aveva soprattutto un ingarbuglio di insoddisfazioni, ambizioni non realizzate e uno stato depressivo che, insieme, alimentavano una “costipazione” assai difficile da risolvere, la cui elaborazione ha però il potere di tracciare la via non della sua rinascita personale attraverso un’originalissima fenomenologia del sentire.  Dalla dissonanza, all’armonia; dal ruolo di solista a quello di componente di un’orchestra capace di armonizzare le differenze, la giovane olandese traduce in esperienza esistenziale alcune intuizioni che avevano portato un’altra quasi coetanea ebrea, la pensatrice politica Hannah Arendt (1906-1975) a tematizzare il male assoluto (ab-solutus, perché sciolto «da ogni ragionevole motivo») nel suo classico Le origini del totalitarismo (1948). Proprio la cancellazione delle differenze – culturali, etniche, religiose – attraverso il bando del diverso, che nel regime nazista erano anzitutto gli ebrei, i disabili, i Sinti e i Rom, conduce alla rarefazione dell’altro. Condizione trascendentale, in senso kantiano, per rendere concreta l’uccisione della persona giuridica, attraverso la distruzione dei diritti civili di ogni essere umano, che è poi, per Arendt «il pre requisito per dominarlo interamente».  Hillesum, pur senza passare dalla critica del totalitarismo, termine forgiato da Arendt, ne coglie la più deleteria delle componenti antropologiche: nel privare l’altro della sua diversità, lo si rende fondamentalmente superfluo («materiale di scarto»), favorendo quella deriva del male che ebbe nei lager il suo esperimento più riuscito. Nell’aprire ogni frammento del proprio sentire alla “folla”, cioè all’alterità nella sua forma meno addomesticata e financo pericolosa, perché ogni relazione adombra un conflitto, Etty si dà a vedere come la più attendibile maestra del bene nei tempi bui. La sua lezione vale più che mai oggi, in un contesto di crescente odio verso il diverso, lo straniero, il migrante, dove lo strumento burocratico – primo alleato, storicamente, anche dei totalitarismi – rischia di attutire le coscienze in rapporto a leggi deliberatamente non inclusive (si pensi, in Italia, all’aspro dibattito suscitato, in tal senso, dal Decreto Sicurezza).  La visione comprensiva di Hillesum non manca, tuttavia, di suscitare domande per la sua dimensione apparentemente aporetica. Ad esempio, come si può evitare che le differenze generino anarchia e conflitto? Com’è possibile che la “folla”, il molteplice non finiscano per soverchiare il singolo nella sua libertà? La risposta della ragazza olandese che andò a morire ad Auschwitz cantando, con lo zaino in spalla, presenta un carattere esperienziale, non teoretico: Etty armonizza, appunto, le differenze, attraverso lo strumento del “cuore pensante”. Il sentire empatico la guida nello stile delle relazioni, dove ascolto e azione “per il bene dell’altro” sono inscindibilmente connesse al “bene per sé”. Accettare il diverso è irrobustire la propria identità, cioè un passaggio decisivo per l’auto-realizzazione, per sentirsi bene quale che sia il contesto. Ecco perché Etty non perde la gioia di vivere, anche nel salire sui vagoni piombati, perfettamente consapevole di andare verso l’annientamento. Nell’intuire il pensiero che poi rese celebre la Arendt, e cioè che le differenze sono garanzia di identità e questa di libertà, Etty incontrò anche un’idea poco nota di Edmund Husserl. Il padre della fenomenologia moderna indicò, quale base del sentire, l’affezione: un che di attivo nell’aprirsi emotivamente alla vita. Ora, proprio qui il filosofo teorizzò che questa condizione rivela un Hintergrund, un sostrato di molteplici differenze mai caotico. Proprio come quella “folla” che, accolta con cuore pensante, si dà a vedere da Etty nei termini di un’armonica ricchezza di sfumature.