Gaber: il corpo, l’amore

Cerco un gesto un gesto naturale
per essere sicuro che questo corpo è mio.
Cerco un gesto un gesto naturale
intero come il nostro io

Gaber e Luporini, con le loro canzoni ed i loro monologhi, hanno posto anzitutto domande con la determinazione e la genialità di chi sapeva mettersi in equilibrio su un punto, senza vertigini, evitando con cura ogni scontata soluzione.  Domande aperte alla libertà di pensiero, per spezzare vecchi dogmatismi e ideologie, schemi sociali o attitudini morali. Un costante invito ad una riflessione critica sul piano individuale e sociale che non ha ancora trovato un’occasione di studio e di confronto adeguati all’importanza di questo enorme lascito musicale e poetico. 

Gaber sapeva che la libertà è la cosa più rischiosa e, per questo, la meno condivisa dagli uomini più propensi all’astrazione, agli approdi sicuri della finzione, del mito o della favola. Sapeva che la libertà si costruisce nell’impegno, nella pratica e nella partecipazione e forse anche per questo rifuggiva da ogni catechismo ideologico preferendo alle dottrine politiche della destra o della sinistra la ricerca della verità, della giustizia e del piacere.

Temi che, come nessun altro, sapeva raccontare attraverso un costante invito alla realtà da vivere nella dimensione immanente del proprio corpo sondato in molti testi come un vero campo di ricerca, come quella grande ragione nietzscheana dalla quale attingere le verità della nostra esistenza. “Macché evanescente! Sono corporeo, io! Non c’ho niente di divino, non mi ha mai sfiorato l’idea. Io vivo”, parole che Gaber affida addirittura alla voce di Gesù avendo un’intuizione, come ricorda Luporini, quasi rivoluzionaria.

Canzoni come “Cerco un gesto naturale”, “Le mani”, “L’elastico”, “Quello che perde i pezzi”, “Il corpo stupido”, sono solo alcune tra le tante che testimoniano una volontà ostinatamente vigile ad ogni gesto, ad ogni sintomo, ad ogni piega del nostro corpo come oggetti di senso, come segni di verità. Un lavoro che non ha eguali nella storia della poesia per musica.

Ed è proprio attraverso quest’idea di corpo che Gaber racconta l’amore. Non in termini ideali così, come “sappiamo un po’ tutti”, bensì come un sentimento fatto di gesti piccoli, interi, naturali “che stanno dentro alla realtà”. Gesti da vivere nel presente sapendo che solo nell’oblio, senza passato e futuro, si può ricreare quell’equilibrio vitale in grado di unire i “due corpi e i due pensieri differenti” di un uomo e di una donna. Gesti che in una canzone come “Donne credetemi” sono desacralizzati al punto da divenire lo scanzonato ed irridente gioco del corpo della donna nelle diverse posizioni dell’amore.

Nei loro ultimi lavori Gaber e Luporini provano ad immaginare i tratti costitutivi di un “umanesimo nuovo” da ricreare in uno spazio vuoto popolato “da corpi e da anime gioiose che entrano di slancio nel cuore delle cose”, un invito ad assecondare la pulsione alla vita, a dire di sì, ad amare il proprio destino. Cercano così di dare consistenza al “sogno di un’antica speranza” – scriveranno in un’altra canzone – attraverso una riflessione filosofica che trova la sua forza proprio perché espressa nella fragile forma della canzone che non si autocelebra, rifuggendo così da ogni sterile teoria per restare piena e viva nei ritmi di un corpo che canta.