Aida, un amore disperante

L’ “Aida”, messa in scena nella versione che ispira la mia riflessione all’Arena di Verona sabato 3 agosto 2019, è un’opera lirica scritta a sostegno di un evento istituzionale, l’inaugurazione del canale di Suez. Rappresentata per la prima volta al teatro del Cairo il 24 dicembre del 1871, si struttura, a mio parere, dalla prima all’ultima scena sul concetto di amore disperante, un amore che non ha speranza di essere realizzato, una sorta di aporia, nella sua origine etimologica greca ἀπορία, passaggio impraticabile, strada senza uscita.

Disperanti sono i sentimenti per i partner, per i genitori, per gli amici o i figli, che spesso i pazienti mi raccontano nelle sedute di psicanalisi: “non so stare con te, ma non posso stare senza di te”.

Il dramma disperante di Aida, schiava etiope del re d’Egitto, si sviluppa intorno al conflitto che suscita l’amore per il padre Amonasro, che si appresta a conquistare il regno delle piramidi e Radamès, capo delle milizie avverse e nemico del genitore.

Giuseppe Verdi ci pone due coppie opposte con caratteristiche ben precise: due uomini (Amonasro e Radamès) e due donne (Aida e Amneris): sicurezza e verità si oppongono a dubbio e amore.

L’opera è sottesa da sentimenti patriottici, di cui la maestosità (in alcuni spettacoli hanno fatto la loro comparsa elefanti, all’Arena di Verona sono sfilati i cavalli) rimanda all’idea di Stati forti, condotti da personaggi altrettanto eroici e privi di dubbio, costantemente rappresentati da soggetti maschili. A differenza di Radamès e Amonasro, inscalfibili nelle loro decisioni, il compositore parmense evidenzia come siano Aida e Amneris, due femmine, a ritornare sui propri passi: scisse dal dubbio, frammentate tra passione per la difesa della patria e infatuazione per un uomo scappano, ritornano, accusano, perdonano, muoiono in un susseguirsi di fughe, di vocalizzi e rincorse strumentali complesse e geniali.

Aida prima si allontana per poi tornare e morire abbracciata all’amato; ella, pur desiderando salvarsi insieme al padre, ha da considerare la sorte che aspetterà l’amato Radamès che ne ha favorito la fuga: “Sventurata! che dissi?… e l’amor mio?… dunque scordar poss’io, questo fervido amor che oppressa e schiava come raggio di sol qui mi beava? Imprecherò la morte a Radamès… a lui che amo pur tanto! Ah! non fu in terra mai da più crudeli angosce un core affranto”.

Quindi chi dei due? Come sperare che Radamès sopravviva se non a discapito della sconfitta dell’esercito del genitore?

Amneris, la seconda figura femminile protagonista del dramma, propone il legame perturbante con l’amore attraverso la conversione della propria gelosia in rabbia e sofferenza verso i sacerdoti per la sepoltura di Radamès. Egli infatti è amato anche da Amneris, la quale, accecata di furore verso Aida, trama per tutta l’opera contro la coppia, per poi pentirsi sul finale, manifestando in tal modo il sentimento disperante. Ella non può averlo, ma non può smettere di amarlo, ne invoca così il perdono e la salvezza: “Ohimè!… morir mi sento… Oh! chi lo salva? E in poter di costoro io stessa lo gettai!… ora, a te impreco, atroce gelosia, che la sua morte e il lutto eterno del mio cor segnasti! Che veggo! Ecco i fatali, gli inesorati ministri di morte… oh! ch’io non vegga quelle bianche larve!”

Veniamo ora ai personaggi maschili: Radamès, conteso da due donne, non ha dubbi, è disposto al sacrificio supremo in nome dell’amore per Aida, nella disperazione del sepolcro, ancor vivo, è permeato dall’unica preoccupazione che non si sia potuta salvare: “La fatal pietra sovra me si chiuse… ecco la tomba mia. ~ Del dì la luce più non vedrò… non rivedrò più Aida. ~ Aida, ove sei tu? Possa tu almeno viver felice e la mia sorte orrenda sempre ignorar!”.

I due protagonisti maschili rimandano alla figura mitica del comandante “tutto d’un pezzo”, del guerriero senza macchia e senza paura. Lo stesso recitato, corredato di lunghi, baritonali e profondi vocalizzi, sembra sostenerne la figura possente e la capacità decisionale.

Per Radamès nulla ha importanza se non l’amore per Aida: “Davverso Nume il folgore sul capo mio discende. Ah, no! D’Egitto il soglio non val d’Aida il cor”. L’aitante guerriero non ha dubbio alcuno, tradirà il suo popolo per una donna, ma, soprattutto, non si pentirà: “Di mie discolpe i giudici mai non udran l’accento; dinanzi ai numi e agli uomini, né vil, né reo mi sento. Profferse il labbro incauto fatal segreto, è vero, ma puro il mio pensiero e l’onor mio restò”. Amneris, in una scena struggente, ascolta il coro dei sacerdoti ripetutamente domandare un pentimento, domanda che, appunto, rimane senza risposta. Il giovane viene così sepolto vivo.

Amonasro, padre di Aida, non è da meno: anch’egli attraverso un cantato epico sostenuto da improvvisi lampi di percussioni su un tema cupo di archi, spesso in una sorta di controtempo, disinteressandosi dei sentimenti della figlia, la obbliga a convincere Radamès a confessarle il luogo di passaggio delle truppe egizie, accusandola: “Non sei mia figlia, dei Faraoni tu sei la schiava”. Il re etiope vota la sua causa alla patria, nulla ha importanza se non l’amore per l’Etiopia.

Radamès morirà felice, la convinzione che aveva della scomparsa di Aida viene vanificata dall’apparizione di costei nella tomba: “Presago il core della tua condanna, in questa tomba che per te s’apriva io penetrai furtiva…e qui lontana da ogni umano sguardo nelle tue braccia desiai morire”.

Assistiamo a un finale che Shakespeare con Romeo e Giulietta ha precedentemente (1595 circa) reso disponibile all’immaginario collettivo, cioè il legame disperante tra amanti che non può che condurre alla morte.

Nell’opera di Verdi viene esasperato come l’amore femminile ancora soverchi ogni legge razionale, come si disinteressi dell’amore per la patria, per la libertà, per i familiari, per il bene comune e come sia permeato dal dubbio e dall’aporia.

Due donne, la passione per lo stesso uomo e la capacità di entrambe di rinunciare alla propria libertà (Aida) e alla propria vita (Amneris) commuovono lo spettatore in un tripudio di cori, fiati e fuochi che tramutano l’Arena in un tempio egizio illuminato a giorno. La prima sceglierà il suicidio sepolta viva, la seconda si inimicherà i sacerdoti del suo stesso popolo: “Sacerdote: quest’uomo che uccidi. Tu lo sai, da me un giorno fu amato. L’anatema d’un core straziato, col suo sangue su te ricadrà!”.

L’opera si conclude con le due innamorate che piangono, Amneris sul tetto della tomba degli amanti e Aida all’interno. Entrambe non vedranno coronato il loro sogno: la figlia del re egizio nel matrimonio sfumato, la schiava nell’impossibilità di fuga dall’Egitto con l’amato.

Giuseppe Verdi, forse inconsapevolmente, anticipa la psicoanalisi nel sottolineare quanto l’amore femminile sia più complesso di quello maschile.

I due uomini, poco avvezzi alla sofferenza soggettiva e inevitabilmente meno capaci alla riflessione, ma predisposti all’azione, decidono di aderire a una causa senza porsi dubbio alcuno: Aida per Radamès, l’Etiopia per Amonraso. Verdi utilizza questi due personaggi in maniera contrapposta: da un lato l’amore per una donna, dall’altro per la patria, ma entrambi i coinvolgimenti emotivi senza ripensamento, senza dubbio alcuno.

Considerato il periodo storico, l’unità italiana è datata 1861, azzardo la metafora della patria amata come una donna: l’amore per una donna cioè è equivalente a quello per la patria, ma ha da essere cioè privo di compromessi, puro ed espresso da cavalieri senza macchia e senza paura, disposti alla morte. Entrambe le figure maschili sono inscalfibili, quasi ottusi nelle loro decisioni, incapaci di reperire un compromesso per poter gestire istanze pulsionali e nazionalistiche.

Su un piano esattamente opposto, nell’atto di amare, la donna è perturbata, fatica a scegliere, appare spesso contraddittoria, confusa, dubbiosa. Viene rappresentata disposta a tutto, ma anche al contrario di tutto se ciò le consente di poter realizzare la finalità di incarnare l’oggetto di desiderio pulsionale ed emotivo del partner.

Il sacrificio assume significato se permette che il gesto d’amore, anche afinalistico, si concretizzi, Aida e Radamès concludono quindi l’opera: “O terra, addio; addio, valle di pianti… sogno di gaudio che in dolor svanì…a noi si schiude il cielo e l’alme erranti volano al raggio dell’eterno dì”, affiancano il loro lamento a quello di Amneris, “Pace t’imploro, martire santo… eterno il pianto, sarà per me…”.

In un’atmosfera di disperazione finale solo il dolore disperante fa da eco alla scomparsa dei protagonisti prima della chiusura del sipario.