L’interprete in quanto creatore (prima parte) | Filosofia dell’interpretazione musicale

Dunque siamo alla tesi più sconcertante: l’interprete in quanto creatore. La posizione è sostenuta, con la stessa radicalità del Parente ma in direzione opposta, da Salvatore Pugliatti. Giurista eccezionalmente appassionato (e competente) di musica, allievo di Giovanni Gentile, Pugliatti parte da un sillogismo assiomatico piuttosto impegnativo: 

ogni atto dello spirito è atto creativo; 

l’interpretazione musicale è senz’altro atto dello spirito; 

ergo l’interpretazione musicale è atto radicalmente creativo. 

Base e motore di un tale postulato teoretico è la soggetto-oggettività di stampo attualistico. E’ il Soggetto, fichtianamente concepito, che, autoponendosi e autocreandosi, crea e pone il suo Oggetto, ovvero l’universo intero. Oggetto e soggetto non sono separabili: l’oggetto-mondo è sostenuto e determinato (creato) dal soggetto; il soggetto si ritrova e riconosce nelle oggettivazioni in cui il suo mondo consiste. Il mondo non è mai dato inamovibile, ma sempre risultato: è prodotto di attività incessante e sempre in atto; è prassi radicale intesa quale atto dello spirito sempre vivo e refrattario a cristallizzazioni, che plasma di continuo contesti e valori a propria immagine.

Mondo è dunque luogo di estrema e radicale responsabilità mai sganciata da una forte idea di comunità, destinataria dei miei atti – ed è anche ente, oggetto-kosmos che si offre alla mia interpretazione. Tuttavia è l’interpretazione ad aver cambiato volto: essa non è più rispecchiamento del mondo, ma progetto di trasformazione del mondo stesso. 

Qui è l’innesto di una responsabilità radicale dell’agente: egli opera in un contesto vivo, attuale, che chiede ben più che essere celebrato ritualisticamente. L’assunto è marxiano e di stampo idealistico (Gentile fu uno dei più interessanti lettori di Marx, nonostante le sue scelte di campo). 

Riferita al campo della interpretazione musicale tale posizione è problematica soprattutto per uno dei suoi possibili corollari: quale la linea di demarcazione tra interpretazione e arbitrio? 

Si aprirebbe qui una faglia enormemente affascinante che ora non è possibile sviluppare. 

Invece ciò che possiamo apprezzare subito è l’afflato umano del contesto aperto dal Pugliatti. L’interprete opera, sì, su un materiale preesistente: ma nella piena coscienza della storicità delle interpretazioni e dei contesti, consapevole soprattutto della portata potenzialmente profetica e rivoluzionaria delle sue scelte e dei suoi atti; egli è attore della storia, che si rivolge ad altri attori – interpretazione d’altra parte è sempre atto pubblico condiviso, carico di grande metalinguaggio subliminale, veicolo di molte cose.  

Dunque, forse inconsapevolmente, il pensatore siciliano ci prepara ad accogliere come in un’arca ciò che farà Daniel Barenboim insieme a Edward Said. Negli anni Novanta i due, amici di lunghissima data, l’uno israeliano (argentino d’origine) e l’altro palestinese – uomini di statura morale e intellettuale eccezionale – propiziano e creano una realtà musicale e umana di livello altissimo: è la West-Eastern Diwan Orchestra, un’orchestra israelo-palestinese fatta perlopiù da giovani chiamati a condividere lo stesso leggio (ogni coppia è costituita da un elemento israeliano e uno palestinese), i medesimi progetti, sforzi, rischi. E che giovani! Superdotati, coraggiosi, supportati da famiglie motivatissime. 

Quali rischi! Quale idealità! Quale profetica disponibilità a creare quel che ancora non esiste.

Alle menschen wierden Brueder in una vera comunità ben reale, non dentro libri a vocazione utopica! La polivoca, itinerante presenza nel mondo di questo singolare organismo ci provoca tutti alla possibilità che questa Pace sia, e sia fatta di interpretazione della diversità (vari modi di intendere qui il genitivo), e movimento, e azione comune, a più e più voci.

 

A questo punto il potenziale creativo dell’Interpretazione musicale non appare più così semplice né così confutabile. 

Ma come la mettiamo con la politica? Forse questa è arte volta a servizio di una politica di cui si intende portare la fiaccola, o dimostrare la bontà…? E’ o può essere ideologia? No, in questo caso è piuttosto l’inverso: le ricadute politiche sono insite nelle più nobili azioni degli uomini (fatte musica, poi, queste assumono forza eccezionale) – laddove per politica si intenda, arendtianamente, luogo di pluralità e libertà: “non l’uomo, ma gli uomini abitano su questa terra“.

Allarghiamo ora il nostro campo visivo estendendo tali considerazioni ermeneutiche ad altri settori della cultura e dell’esistenza: le tangenze con l’interpretazione musicale, a mio parere immediatamente evidenti a chi è o è stato interprete, risulteranno chiare, dopo, a chiunque si accosti alla lettura con sguardo analogico e capacità di salto logico.

Consideriamo quella parte dell’ermeneutica ebraica che vive, letteralmente vive, di lettura inesauribile e sempre rinnovata del medesimo testo scritto: la Torah. Essa è, in senso mistico, l’assolutamente interpretabile (Scholem); ha seicentomila facce, poiché parla a ogni suo potenziale lettore (ciò che autorizza commenti, storie haggadiche, mishnaitiche; discussioni, paradossi, riletture, aperture; miti immaginifici, narrazioni iperboliche; calcoli, gematrià, profezie). Non solo: essa è Parola e contemporaneamente Silenzio; è, radicalmente, Linguaggio; e linguaggio, in senso strettamente cabbalistico, è “qualcosa che vibra al di sotto delle fessure del mondo espressivo…qualcosa di incomunicabile che ciononostante aspira ad essere comunicato“. 

Una delle pieghe più intriganti dell’ermeneutica ebraica consiste, secondo Gershom Scholem, nella tensione ineliminabile tra autorità religiosa e misticismo, propria praticamente di ogni religione che conosca grandi santi, fasi rivoluzionarie, figure profetiche, eresie. Il mistico non ha, però, quasi mai l’impressione di collocarsi fuori dall’ortodossia: è, piuttosto, convinto, di esserne il lettore radicale, il campione fedele. Egli si sente  l’archeologo di pietre sepolte, il restitutore alla luce di vivi tesori totalmente interni alla lettura del testo sacro: affronta lo stesso pezzo dei colleghi ortodossi, ma vi scorge connessioni inaudite. Cerca allora il livello espressivo adeguato, che ha il sapore dello scacco, del tentativo e insieme della profezia, sempre verso quella radicale ulteriorità che chiama a sé, e che è progetto e annuncio. Il cerchio del Mistico – di questo eccezionale apocalittico – si è schiuso, il suo mondo si è capovolto; egli è rinato.

E, se fa proseliti, se ha un pubblico, i suoi toni parlano di un mondo nuovo a gente nuova. 

Per tutte questa ragioni il mistico è spesso recepito, dall’autorità riconosciuta, come sovversivo e destabilizzatore dell’ordine. La novitas induce resistenza, ma è la tradizione stessa che per l’eretico forza poi i propri confini.

E’ il problema dell’eredità, che sgorga sempre dal tronco dell’interpretazione.