Un’ecologia da ascoltare

Sembra che l’essere umano si sia dimenticato del suono. Eppure, ognuno di noi è quotidianamente immerso in un vasto paesaggio sonoro che scandisce le ore, i minuti, i secondi delle nostre vite. C’è di più: laddove ci viene data l’ormai rara opportunità di riascoltare i suoni primordiali della nostra terra, in quei rari momenti dove il magico frastuono dell’universo – per dirlo con le parole di Robert Schneider – sarebbe a nostra disposizione, lì, per noi, inizia il silenzio. Ma perché il suono? E perché il recupero di un ascolto critico e cosciente della nostra Terra dovrebbe essere preso in seria considerazione dalle società in cui viviamo?

Raymond Murray Schafer descrive il paesaggio sonoro come l’insieme di suoni e di rumori che compongono la grande sinfonia del mondo naturale e artificiale. Tutto ciò che ci circonda si può ascoltare: nel corso dei secoli, attraverso l’arte e in modo particolare con la musica, l’uomo ha creato paesaggi sonori ideali per la propria immaginazione e riflessione psichica, un’eco dell’ambiente acustico quotidiano che tuttavia non rispecchia fedelmente il grande caleidoscopio sonoro del mondo. C’è da dire, infatti, che i confini del suono vanno ben oltre la musica, anzi, la inglobano, tanto da rendere inutile qualsiasi tentativo di definizione e distinzione tra musica e suono: la musica è «tutto ciò che noi ascoltiamo con l’intento di ascoltare musica», diceva Luciano Berio.

Nel tentativo di comprendere come una più attenta e profonda valutazione del paesaggio sonoro possa portare a serie considerazioni di carattere sociale, politico, culturale e soprattutto ecologico, è di fondamentale importanza considerare il suono come un importante veicolo di significati e conoscenze a cui noi, anche se spesso ce ne dimentichiamo, abbiamo accesso. In tal senso, e avvicinandosi ad un approccio di tipo linguistico, il suono potrebbe essere considerato come un ‘’testo’’ da interpretare, come le pagine di un libro in cui uomo e natura infondono continuamente nuove storie e significati. Sono convinto che si rimarrebbe piacevolmente sorpresi dagli orizzonti che si potrebbero aprire sfogliando attentamente le pagine di tali testi.

Vediamo, quindi, tre brevi esempi molto diversi tra loro, che tuttavia presentano un comune denominatore: il suono e la sua rilevanza in contesti sociali, politici, artistici e, naturalmente, ecologici.
Una prima importante testimonianza ci è data da una popolazione remota, la tribù dei Kaluli, abitanti della foresta pluviale in Papua Nuova Guinea nei pressi del vulcano Bosavi. In una ricerca durata quasi venticinque anni, l’etnomusicologo Steven Feld scoprì come la vita dei Kaluli, le loro tradizioni, la loro storia, i riti, i miti e i canti siano continuamente influenzati dall’ambiente sonoro della foresta. La musica di tale popolazione, ad esempio, rielabora i flussi sonori della natura e le modulazioni del canto degli uccelli: questi, infatti, non sono considerati versi, ma voci. Anche da elementi naturali come il vento o l’acqua prendono vita alcuni aspetti sociali della tribù, del loro linguaggio e del loro modo di orientarsi: la produzione di suoni, così come l’esperienza sensuale e corporale ad essi legata, costituisce un aspetto centrale del sapere acustico – ed ecologico – dei Kaluli.

A proposito di coscienza ecologica, un secondo e valido esempio molto più vicino a noi è costituito a mio avviso dal lavoro di Nicola Di Croce, architetto e artista che nel 2018 pubblicò un libro dal titolo Suoni a margine. La territorialità delle politiche nella pratica dell’ascolto. Tale pubblicazione costituisce un’importante testimonianza dei presupposti di carattere sociale, politico ed ecologico che uno studio ed un utilizzo più consapevole del suono potrebbe sollevare nelle nostre società. L’autore ci aiuta a riflettere in particolar modo sul concetto di identità territoriale non solo attraverso l’osservazione del paesaggio fisico ma anche attraverso l’ascolto del paesaggio sonoro. Questo infatti, così come il paesaggio fisico, è il «risultato di segni e testimonianze impressi dall’uomo» – così Di Croce – che funge da prova della storia di una popolazione, delle sue tradizioni, delle sue abitudini e pratiche sociali. Anche la nostra identità, quindi, ha un suono, la nostra storia, la nostra evoluzione. Comprendere tutto questo è a mio avviso fondamentale per un ulteriore sviluppo di una “coscienza ecologica”. Basti pensare, ad esempio, ai potenziali risvolti di tale approccio sulla pianificazione urbanistica, sul governo di una città, del suo territorio o, ancora, sulla tutela di aree naturali e di beni intangibili.

Una maggiore consapevolezza sonora avrebbe delle conseguenze naturalmente anche sull’arte: e infatti, il terzo e ultimo esempio che vorrei portare all’attenzione del lettore ha come protagonista Arte Sella, un museo all’aria aperta immerso nelle montagne del Trentino. L’utilizzo del suono come opera d’arte apre a nuovi scenari che aiutano a comprendere il potenziale comunicativo ed espressivo che il suono può avere, anche all’interno di un contesto educativo come quello di un museo o, perché no, di una scuola. Ad Arte Sella gli artisti sono chiamati ad esprimere la propria relazione con la natura utilizzando esclusivamente materiali di origine naturale. Ogni costruzione è effimera e svanisce nel corso del tempo, ritornando alla natura: si può facilmente intuire quanto il paesaggio sonoro sia importante per un museo di questo tipo. Ciò che particolarmente sorprende, però, è che raramente i visitatori si accorgono di tale dimensione. Corrado Bungaro, Carlo Casillo e Mariano De Tassis decisero, nel 2017, di dare vita ad un’installazione sonora dal titolo Arte Sella suona, una registrazione non solo della varietà sonora del luogo (legata tanto all’uomo quanto alla natura) ma anche dei suoni delle opere esposte. Arte Sella suona restituì a tali opere quella dimensione sonora immateriale di cui spesso ci si dimentica, ci invitò ad interagire con essa e a considerarla alla base dell’identità territoriale di quel luogo: tale museo non è infatti solo un insieme di oggetti, ma soprattutto di suoni e armonie. Proviamo a pensare ad un museo come un grande contenitore che tenti di cristallizzare e conservare le memorie dell’uomo, le sue storie, le identità, le espressioni artistiche, e così via. Inserire il suono in qualità di protagonista in tale contesto, vale a dire come opera d’arte e non come mero sottofondo, significherebbe riconoscerlo per l’appunto come uno tra i più potenti ‘’strumenti’’ di diffusione di memoria, identità ed espressioni artistiche umane e naturali.

Gli strumenti di registrazione e riproduzione del suono, per l’uomo moderno, costituiscono in questo senso una straordinaria opportunità che oggi ci permette di fermare, analizzare e ‘’osservare’’ il suono stesso, invitandoci ad una riflessione più profonda di quei presupposti sociali, politici ed ecologici a cui più volte si è fatto riferimento nel presente articolo. In alcuni ambiti questo si è già, almeno in parte, compreso: a chi non è capitato di imbattersi in un video di promozione turistica o culinaria, in cui un abile sound designer mette in risalto suoni caratteristici di un luogo o di un ambiente, come una campana, il vento, il frinire delle cicale e dei grilli, il canto degli uccelli o il crepitare del fuoco. E quante sensazioni, profumi, ricordi risvegliano in noi questi suoni, permettendoci di vivere una vera e propria esperienza sensoriale completa. O ancora, la registrazione dei suoni e rumori di una determinata area urbana (o extra urbana) è in grado di restituirci una vera e propria ‘’topografia sonora’’ del luogo, permettendoci così di effettuare determinati interventi – come, ad esempio, l’innalzamento o l’abbattimento di una barriera – con una maggiore coscienza sonora ed ecologica, legata altresì al benessere degli abitanti di quell’area. Considerando i seri risvolti a cui un’attenta comprensione ed un sapiente utilizzo dell’ambiente sonoro circostante può portare, sono convinto che lo spunto di riflessione iniziale a cui la nostra società debba fare riferimento sia soprattutto di tipo ecologico. Un certo modo di ascoltare il mondo deriva dall’interazione che abbiamo con esso, ma anche, come ricorda Steven Feld, dal modo in cui lo rispettiamo e lo apprezziamo. In tale prospettiva si inserisce anche ciò che comunemente chiamiamo silenzio, del tutto inesistente e frutto di una nostra erronea percezione dei suoni che non siamo abituati ad ascoltare con il giusto orecchio. Parlare di identità territoriale, e farlo attraverso la considerazione del paesaggio sonoro, ci permette di considerare tale dimensione come un aspetto caratterizzante di una cultura, tanto quanto lo costituisce, ad esempio, la lingua parlata da una particolare comunità. Tale approccio è strettamente legato al concetto di salvaguardia e tutela tanto del paesaggio fisico, quanto di quello sonoro, entrambi veicoli delle nostre identità territoriali. Un ruolo centrale nel percorso di sensibilizzazione verso tali tematiche può essere sicuramente assegnato alla scuola e all’arte o forse, prima ancora, a quelle istituzioni politiche ed economiche che sono chiamate ad effettuare importanti scelte ambientali, spesso senza aver prima maturato una coscienza eco-sonora delle comunità in cui lavorano.