Musica e Filosofia nel pensiero dell’Africa nera (prima parte)

Premessa
Dopo aver ascoltato attentamente e lungamente le narrazioni cosmogoniche del Vecchio Dogon Ogotemmeli, Marcel Griaule scrisse: «questi uomini vivono su una cosmogonia, su una metafisica e su una religione che li pone sullo stesso piano dei popoli dell’antichità e che la stessa cristologia avrebbe interesse a studiare» (1968, p. 10).

Assistere a un processo evolutivo e a trasformazioni tecniche come quelle che troviamo nella storia e preistoria del continente nero, senza ammettere un’evoluzione parallela dei movimenti nella coscienza e nel pensiero dei suoi abitanti è quanto meno poco ragionevole. La storia non è il passato, il presente, il futuro. La storia è l’uomo nel tempo. É sempre l’uomo con i suoi sforzi. La storia del continente africano, se è rettamente intesa, non può non coinvolgere tutti gli uomini, tutti i popoli, tutto il mondo.

Accezione dei termini
Non sembra superfluo chiarire le espressioni quali musica africana, filosofia africana, contesto africano e ipotesi di partenza. La musica, intesa come “arte delle Muse”, è il risultato dell’arte di ideare e produrre, mediante l’uso di strumenti appositi o della voce, una successione organizzata di suoni che risultino piacevoli all’orecchio. La Filosofia è intesa come modo di organizzare le cose che permette la coincidenza tra il fare e il sapersi servire di ciò che si fa a vantaggio dell’uomo. Il contesto geografico di riferimento è prevalentemente quel tracciato dal quadrato compreso tra i due Deserti (il Sahara e il Kalahari) e i due Oceani (l’Atlantico e l’Indiano): l’Africa nera.

L’ipotesi di lavoro delle riflessioni riportate in questa sede, parte dall’affermazione che il più grande avversario della creatività artistica dell’Africa nera è il sistema della logica circolare che ha il suo appartamento nel palazzo della filosofia occidentale.

Mi spiego meglio. Il sistema della logica circolare, ricorrente nella filosofia occidentale, vedasi oggi ad esempio il pensiero che sottende la gestione dei flussi migratori, consiste nell’introdurre tacitamente nelle premesse una certa verità o valorizzazione, per poi ritrovarla trionfante e beatificata nelle conclusioni, allo stato di verità dimostrata. Una determinata situazione sociale, per esempio, in cui le disuguaglianze e le discriminazioni sociali sono presenti, è interpretata «conforme alla natura» e, di conseguenza, invariabile; per poi essere dichiarata immediatamente norma fissa perché «conforme alla natura». Valga per tutti l’esempio di logica circolare che troviamo nell’Enciclica sociale Rerum Novarum, del 15 maggio 1891, di Leone XIII, al  n° 14a:

«É necessario mettere in evidenza in primo luogo questo principio: si deve accettare la propria condizione umana: togliere dal mondo le disparità sociali, è cosa impossibile. Lo tentano, è vero, i socialisti, ma ogni tentativo contro la natura è vano; è essa infatti che ha posto la maggiore varietà tra gli uomini: non tutti posseggono lo stesso ingegno, la stessa solerzia; non la sanità, non le forze in pari grado: e da queste inevitabili differenze nasce di necessità la differenza delle condizioni sociali. E ciò torna a vantaggio sia degli individui che della società; perché la vita sociale abbisogna di attitudini varie e di uffici diversi; e l’impulso principale che muove gli uomini ad esercitar tali uffici è la disparità delle condizioni». 


Dualità interagente
Nelle cosmogonie africane, è ricorrente una dualità interagente. Sotto il punto di vista del processo conoscitivo, la prima unità dialettica è quella che si afferma tra il soggetto e l’oggetto. Da questo rapporto dialettico primigenio sorge tutta la vita dialettica ulteriore.  Il primo insieme dialettico, non risolvibile meccanicamente nelle sue parti, il cui processo si realizza in conformità con un ordine che trascorre in modo perfetto, è il conoscere umano.

Il conoscere è un insieme che sorpassa, rendendoli unificati, i componenti che sono il soggetto e l’oggetto. In altre parole, il rapporto tra coscienza e mondo concreto-storico è un rapporto non-essenziale di complementarietà e che può anzi diventare antinomico: cioè soggetto e oggetto compongono unità dialettica di opposti che si uniscono, appunto perché opposti. É la norma della “buona distanza”- anche qui.

All’interno di quest’unità dialettica del conoscere umano sussistono quindi le parti, il soggetto e l’oggetto, e si affermano nella loro singolarità e nella loro funzione specifica. Conoscere è una unità di incontro che non sopprime le parti. É la presenza unificata di una doppia attività contrapposta, ma insopprimibile.

Hegel si trova all’inizio di questa dialettica: la verità è la nascita contemporanea, nella coscienza, dell’oggetto e del soggetto. La verità è inseparabile dall’oggetto e dal soggetto, sorpassa la divisione del tutto nell’oggetto come norma e del soggetto come ritorno su se stesso. Tuttavia, Hegel pone che le contraddizioni reali si conciliano unicamente nella verità del concetto, astratto; che il solo elemento idoneo o qualificato, adatto per l’esistenza della verità è esclusivamente il concetto: «soltanto il razionale è reale». In Hegel, pertanto, il positivo, il vero, il “reale”, prende la direzione del concetto.     

Non è per una mistica degli antagonismi se la dialettica si risolve in rapporto di contraddizione, bensì le intime contraddizioni e limitazioni dell’uomo, lo spingono a cercare un nuovo equilibrio e una nuova armonia.

Il ritmo e l’influsso cosmico sulla vita dell’uomo
Nel pensiero africano, questo nuovo equilibrio, questa nuova armonia è ricercata in ogni forma artistica, e la modalità che permette il collegamento della dualità interagente a qualunque forma artistica è il ritmo. Per l’Africa nera il ritmo è la struttura fondamentale della creatività artistica e della sua antropologia. Il ritmo è la base tanto dei gesti che della parola, della danza come della creatività nell’arte figurativa in tutte le sue forme. E al tempo stesso motiva la Weltanschauung e la concezione dell’uomo. Tutta la tradizione orale, letteraria e artistica dell’Africa nera obbedisce a questa legge del ritmo. Per cui si può parlare del ritmo poetico, del ritmo che è alla base di ogni opera della creatività, del ritmo cosmologico, del ritmo cosmologico e del ritmo antropologico. Il ritmo cosmologico è da attribuire all’espressione e quello antropologico a ciò che è espresso. Se il secondo è il mondo interiore, il primo ne costituisce il riflesso esteriore. E i due rappresentano un insieme inseparabile.


L’artista come creatore immortale
Nel 1985, usciva in Italia con la Cittadella Editrice di Assisi la traduzione del libro Lernen von Afrika, Imparare dall’Africa, che ospitava uno studio interessante del camerunese Engelbert Mveng, gallerista, scrittore, direttore di biblioteca, dal titolo: L’artista come creatore immortale. Tema centrale della ricerca di Mveng è precisamente il ritmo, considerato non semplicemente un moto pendolare determinato dalla trasformazione della natura, ma come qualcosa che ci porta davanti alla libertà artistica, creativa, dell’uomo che fa del determinismo, dell’inevitabile nella natura una materia prima che può trasformarsi in un nuovo ritmo, nel ritmo della vita umana, la cui opera creativa fornisce i riflessi.

Nel pensiero africano, i concetti di ritmo e vita appaiono indissolubilmente congiunti. Nei miei scritti, ho ribadito spesso che, al contrario della filosofia occidentale che pone come punto di partenza il concetto astratto, il punto di partenza della filosofia africana non è l’essere in quanto tale. Il punto di partenza della filosofia africana è l’esperienza basilare dell’uomo, l’esperienza viva, l’esperienza della vita, l’esperienza dell’uomo che vive. La vita intesa non semplicemente come un concetto astratto, ma la vita vissuta drammaticamente nel senso etimologico dell’avverbio. Cioè il dramma che mette in scena le forze della vita contro le forze della morte. Questo è importante per capire i postulati della filosofia africana. L’esperienza delle forze contrapposte rappresenta il punto di partenza della filosofia e della religione dell’Africa nera. Questa tensione dialettica tra vita e morte costituisce anche sostanzialmente il ritmo nero-africano. Di fronte a ciò, Mveng applica il concetto di tensione a ciò che egli definisce ritmo del tempo e della vita, e conduce una ricerca basata sulla teoria ondulatoria, sul ritmo dell’Africa nera illustrandola nei grafici in seguito riportati.


Grafici sulla teoria ondulatoria di Mveng
                    

L’arte africana nasce dal rifiuto sostanziale del determinismo della natura. Nel grafico n°1 vediamo la curva AE come rappresentazione dell’isocronia, monotonia e regolarità.

Quest’onda non è però l’ordine fondamentale dell’attività artistica; segna solo la materia prima impiegata dal genio creativo (grafico 2). L’artista si ribella al determinismo della monade con nuove onde, diadiche e triadiche, che producono un ritmo dialettico. I grafici 1 e 2 riflettono la lotta tra la morte e la vita e la vittoria della vita sulla morte.

Vediamo il grafico 2. Se rappresentiamo lo stile del popolo X come periodo AE, l’artista (l’uomo artista Y di quel popolo X) può dar vita, a piacimento, a molte nuove onde, che però partono tutte nel punto di intersezione A e terminano tutte nel punto di intersezione E. Quindi: ogni artista Y segue la stessa simbologia e lo stesso significato. Però dispone inoltre del proprio ritmo, dei propri periodi e punti d’incrocio. Le arti africane, dunque, seguono certi stili che le rendono univoche. Esse formano nel complesso un linguaggio simbolico, le cui immagini e i cui segni obbediscono a regole fisse e a ritmi predeterminati, ma al tempo stesso possono conferire una forma nuova ad altri ritmi e ornamenti.

Il ritmo della saggezza dell’uomo nero, dunque, non è mai il ritmo della natura con la sua ineluttabilità. Questa infatti è isocronia, monotonia, regolarità. Va solo dalla caducità delle cose alla loro morte. Il tempo dell’uomo è invece diacronico, dialettico e dinamico. Articola il periodo di una vita in curve di creatività. Del ritmo della natura si può dire solo che ingoia tutto. Del ritmo della saggezza si può dire invece che è il seme di tutto.

Rappresentiamo a titolo di esempio un lasso di tempo come curva alfa, con i punti di intersezione A ed E e poniamo come unità di base il periodo AE (V. grafico 1).  Il ritmo di base del determinismo della natura è poi suddiviso in uguali periodi beta, che si ripetono all’infinito. Invece, attraverso il ritmo, il periodo AE, inteso come durata di una vita umana, muta non per la suddivisione in periodi uguali, ma per il fatto di essere riempito di una serie di curve più piccole, basate sulla dialettica della monade, della diade e della triade. Così, le curve od onde alfa e beta o beta e gamma o addirittura alfa e beta e gamma si sovrappongono, passando tutte i propri punti di intersezione secondo la scelta artistico-creativa dell’uomo, che produce il proprio ritmo. Questo intreccio è la base del genio creativo dell’africano nero.