Pitagora preso sul serio (prima parte)

M.C.Escher Liberazione, 1955
M.C.Escher Liberazione, 1955

Nel 1974, all’interno del programma dal titolo Le interviste impossibili, andava in onda nella seconda rete radiofonica della Rai l’“intervista impossibile” di Umberto Eco a Pitagora, una cui selezione fu poi raccolta in un omonimo volume edito da Bompiani nel 1975.

«Ma non siete mai riusciti a darmi torto», affermava soddisfatto Pitagora verso la conclusione di questo dialogo immaginato. Le obiezioni di Eco, infatti, sembravano addirittura deboli di fronte alla forza del Numero, la “sostanza di tutte le cose”.

Siamo abituati a pensare Pitagora in relazione al suo famoso teorema sul triangolo rettangolo o alla Tetratkys, ma la grandezza del filosofo fu aver intuito la presenza di una “spinta” dal Caos verso il Cosmo sorprendentemente capace di vincere, e soprattutto che questa spinta aveva uno stretto rapporto con il Numero[1].

Un’intuizione geniale risalente a Pitagora: l’armonia sarebbe il legame segreto del mondo. Si tratta di un’intuizione sostenuta da stupefacenti scoperte nel campo della musica. Vi sarebbe pure l’argomento della famosa armonia delle sfere, ma di esso non sembra si trovi una chiara conferma. Dopo tanti secoli, anche dal Seicento in poi con la Scienza moderna, questa armonia era considerata non più di una suggestiva visione del cielo. Fino alla recente scoperta di sistemi stellari (1995) e le sue novità.

Un’intuizione che oggi contiene molto di più di quanto sapeva Pitagora, certamente, ma anche più profonda per noi se non ci fermiamo ad un esame superficiale.

Il rapporto e l’armonia

Per Pitagora, mettere in ordine significa anzitutto numerare. All’epoca, per contare si usavano i sassolini; ma, se questi erano troppi, invece di contare le singole unità si contavano i gruppi di sassolini. Questo tipo di operazione si chiama rapporto. La prima osservazione di Pitagora fu che la presenza di rapporti di piccoli numeri doveva essere indice di ordine, un ordine da chiamare “armonia”.

Fu una brillante intuizione, come si diceva. Che cosa concretamente intenda il filosofo con la parola “armonia” ancora oggi non sempre è per tutti chiaro e condiviso. Sono comunque utili gli esempi citati fin dall’inizio nell’arte, nella musica, nel cielo.

Proprio il misterioso sapiente dell’antichità mostrò il migliore esempio possibile, cioè i semplici numeri che si ricavano dai rapporti dei suoni in un monocordo, come diremo fra poco. Non solo, troviamo ancora sorprendente vedere che Pitagora – senza conoscere le frequenze contenute nella vibrazione della corda scoperte due millenni dopo – ha “indovinato” un esempio che non solo conferma, ma alquanto rafforza la sua tesi!

Le discussioni e le interpretazioni si alternarono per secoli (pensiamo a Platone, Dante, Nicomaco, Numenio, Plotino, Agostino, Boezio, …neoplatonici e umanisti…, fino a Nicola Cusano e Giordano Bruno…). Arriviamo ai filosofi naturali del Seicento, oggi chiamati scienziati: Copernico, Galileo, Keplero e Newton che adottano un metodo capace di mettere in pratica l’intuizione del filosofo di Samo. Per confermare la sua ispirazione, era opportuno ridurre alquanto l’oggetto, cioè dedicarsi a semplici corpi concreti ben misurabili; e, contemporaneamente, appoggiarsi sulla prodigiosa potenza della matematica, che con il linguaggio dei numeri risultava affidabile sia nella teoria, sia nella pratica. Così nacque la scienza moderna, la quale è in grado di offrire una grande coerenza fra teoria e pratica nel preciso linguaggio della matematica.

In conclusione, secondo Pitagora, è armonico qualsiasi fenomeno che presenti – sia pure in varie forme – regolarità e ordine, tali da rientrare in rapporti semplici, cioè riducibili a rapporti di piccoli numeri. Si tende spesso a riferirlo soltanto alla musica, ma è bene ricordare che il rapporto armonico può essere riconosciuto in tutti i fenomeni sensibili: a ciò che viene misurato con il tatto, ammirato con la vista, ascoltato con l’udito. Si tratta quindi di riconoscere che l’estetica armonica va ben oltre il mero ambito acustico; la sua presenza, in ogni caso, può essere messa in luce attraverso gli strumenti della fisica e la formalità della matematica. Troviamo un rapporto armonico dove due corpi sono in risonanza, cioè quando condividono una frequenza (indicata con 1:1) oppure condividono multipli di rapporti semplici in cui le frequenze dei corpi coinvolti si richiamano fra loro in maniera da oscillare con la semplicità di tali rapporti, come vedremo. Pitagora insiste nel dire che il rapporto armonico risulta tanto più “forte” quanto più si presta a essere ridotto alla relazione di piccoli numeri, e ha ragione; infatti, come in musica, al crescere di questi numeri le risonanze diventano sempre più deboli.

Ci chiediamo ragionevolmente se Pitagora avesse davvero ragione

Oggi, dunque, quanto possiamo ancora dire importante l’intuizione di Pitagora? Per rispondere faremo riferimento a tre ambiti particolari: la musica vista dal punto di vista dell’acustica, un cenno all’ambito fisico-matematico, e infine la meccanica celeste.

La Musica

Della musica esaminiamo soltanto due dei pilastri della sua struttura fisica: l’accordo e il timbro.

Da pochi secoli la scienza ci ha permesso di capire che la vibrazione che chiamiamo “nota musicale” – come quella prodotta da una corda – non è in realtà una sola, ma ne contiene molte altre che, però, con l’orecchio non distinguiamo.

Proviamo, per esempio, con il DO centrale di un pianoforte, DO4: lo “sentiamo” e corrisponde a una frequenza (il numero di oscillazioni al secondo) di 260 Hz. Quel DO, in realtà, non è una nota pura, ma “contiene” in sé altre note che risuonano, dette armoniche, le quali hanno frequenze multiple di 260 Hz, come riportato nella tabella. La fisica acustica ci dice come e quanto risponde una corda stimolata (pizzicata, sfregata, percossa…) che abbiamo accordato sul DO.

Tabella delle vibrazioni messe in moto dal solo tasto DO4 del pianoforte

Numero di armonica puraFrequenza (Hz)Nome fisico di frequenze risonanzeNote pure contenute nel tasto DO4 del pianoforteNome musicale
1260f1 = 1:1DO4Fondamentale
2260 x 2 = 520f2 = 2:1DO5Ottava
3260 x 3 = 780f3 = 3:2SOL5Quinta
4260 x 4 = 1040f4 = 4:3DO6Tonica
5260 x 5 = 1300f5 = 5:4MI6Terza

Si può prolungare la tabella e trovare le altre note pure (in ordine: Sib, RE…), ma attenzione, le armoniche sono sempre più deboli. Un buon orecchio allenato può arrivare a percepire le prime frequenze pure, ma non molto oltre. È vero che si riesce anche a esaltare qualcuna delle prime risonanze con la voce di uno strumento o con quella umana, ma rimane il principio generale appena detto: più si procede e più debole risulta l’armonica in questione.

Senza conoscere le frequenze e l’acustica, Pitagora con il monocordo ha individuato correttamente le prime tre armoniche: Fondamentale (1:1), Ottava (2:1) e Quinta (3:2). Con queste, ha poi costruito la Quarta (4:3, essendo il DO la Quinta del FA) e quindi le ha inserite nella tetraktys[2], fatta con i numeri 1, 2, 3, 4, la cui somma fa 10, numero di principale importanza per i Pitagorici.

Le altre note ancora oggi vengono spesso “costruite per quinte”; da qui prende origine la musica di tanti secoli. Se studiamo la musica antica, troviamo nel medioevo musici e popolani che – oltre alle musiche canoniche composte sulle note: Fondamentale, Ottava, Quinta e Quarta, dettate da Pitagora – solo con l’uso del proprio orecchio sono in grado di apprezzare anche un’altra nota: la Terza!

L’accordo

Nella tabella ci siamo allargati fino a cinque armoniche che ci aiutano a giustificare due dei caposaldi della musica, così come ci siamo proposti.

La tabella – riferita al caso del DO, ma lo stesso schema vale per le altre note – ci mostra che la corda, nelle sue prime cinque armoniche[3], suonano un accordo: DO-MI-SOL maggiore.

Con questa semplice osservazione si spiega l’origine naturale dell’accordo usato come base della musica tonica. Infatti, nelle prime cinque armoniche, ci sono sempre: la nota di riferimento (DO), la quinta (SOL) e la terza (MI)!

Se invece suoniamo le corrispondenti tre corde DO, MI, SOL, riconosciamo in questo gesto l’accordo di DO maggiore, chiamato in questo modo proprio perché già la singola corda di DO ce lo suggerisce anche se non lo riconosciamo con l’orecchio.

Queste differenze acustiche si possono rappresentare visivamente. Al posto di tre note pure prendiamo tre colori di base: se accostati (come tre corde) li riconosciamo distintamente, mentre se mescolati (come le armoniche dell’unica corda) li vediamo come una unica tinta.

Il timbro

Come le tantissime tinte di colore dipendono dalle diverse possibili dosi dei tre colori primari (ciano, giallo, magenta) e noi vediamo un unico colore, così riconosciamo una voce particolare senza separare le “voci pure” presenti in diverse “dosi”.

Dal punto di vista evolutivo è molto importante saper discriminare a chi appartiene una certa voce, specialmente se è affettivamente significativa (come quella della mamma) oppure pericolosa (come quella di un predatore), piuttosto che saper distinguere le singole componenti armoniche (note) che pure la compongono. Con l’orecchio umano, infatti, non siamo in grado di distinguere le singole note che compongono il timbro della voce, quelle che chiamiamo “armonici”. E tuttavia, il cervello utilizza questi armonici dando, per così dire, “colore” alla nota di partenza. In questo senso, quello che, sul piano visivo, chiamiamo tinta di un colore, in musica chiamiamo timbro di una nota. Lo stesso DO avrà perciò il timbro del pianoforte, del fagotto, della tromba, del violino o della voce di un cantante, in relazione alla “forza” delle singole armoniche presenti in quel suono. E l’orecchio ne riconosce apertamente il timbro.

La conoscenza dell’acustica ha quindi dato una solida base teorica alla musica in generale e in particolare allo splendido periodo della musica tonica, dal Seicento al Novecento.

Concludendo: la musica confrontata con la tetraktys di Pitagora, trova una iniziale e solida conferma. In questo primo ambito i rapporti degli elementi presi in considerazione danno sicuramente ragione all’intuizione di Pitagora.

Fisica e Matematica

Il moto armonico si trova non solo nei fenomeni acustici. La fisica riconosce rapporti di tipo armonico – in senso matematicamente rigoroso – nei fenomeni naturali e nelle applicazioni che si ripetono, come nei pendoli, negli atomi, negli edifici, nei ponti… insomma praticamente ovunque. Dal microcosmo al macrocosmo, questi fenomeni vibratori sono tutti caratterizzati da un proprio tempo T, detto periodo (il numero inverso della frequenza T=1/f ), che si ripetono seguendo una precisa successione di numeri naturali: 1, 2, 3… e così via.

Sembra banale, e invece proprio da questa semplice successione numerica degli inversi – 1, 1/2, 1/3, 1/4,… che prende il nome di successione armonica (!) – è nata un’ampia e profonda branca della matematica, ancora in sviluppo, che si chiama matematica armonica, la cui bellezza estetica si può apprezzare incominciando dalla trigonometria e dal teorema di Fourier.

Nel 1967 il matematico canadese Robert Langlands ha delineato un programma di ricerca[4] che ha dato frutti impensabili e dimostrato un potente collegamento tra geometria e analisi armonica. Lavorano su questo programma detto anche “stele di Rosetta”, perché permette di affrontare problemi complessi da diversi punti di vista, con esiti spesso sorprendenti e del tutto imprevedibili. A Robert Langlands nel 2018 è stato assegnato il prestigioso riconoscimento matematico Premio Abel. A suo modo, esso rappresenta una conferma dell’intuizione di Pitagora, anzi, quasi una “prova” della sua validità, perfino oltre quanto immaginato. Ancora una volta, dunque, sembra che davvero non possiamo dar torto al grande matematico di Samo.

Una suggestione nell’universo?

Il terzo ambito, affascinante ma problematico, dove cercare una conferma dell’intuizione pitagorica è la tanto citata “armonia delle sfere”.

La Cosmologia geocentrica

Partiamo dalla cosmologia geocentrica, quella più ingenua e naturale, nata alcuni millenni fa in diversi luoghi della Terra, dove troviamo timorose osservazioni del cielo e riti che incarnano le forze oscure della natura. Si sviluppa la cosmologia geocentrica composta da: Luna, Mercurio, Sole, Venere, Marte, Giove e Saturno; luci nel cielo che si vedono bene, che ruotano ciascuna sulla relativa sfera. Comunque con predizioni più accurate di quanto frequentemente si pensi: delle eclissi, dei cicli lunari, dei moti planetari.

Geocentrismo con la Terra al centro del Cosmo.

Con la sfera delle Stelle Fisse che contiene e trascina tutte le altre girando attorno a noi ogni ventiquattro ore.

Più di 2500 anni fa ecco la comparsa del nostro Pitagora, il quale ci dice che queste sfere rispettano i semplici rapporti numerici componendo un’armonia, come una musica (non una musica!). In questo senso parlava di Armonia delle sfere.

Cerchiamo, dunque, rapporti armonici a partire da numeri e misure; ma che cosa misurare: distanze, periodi, velocità? Come già detto, troviamo la tradizione pitagorica sempre vivace fino al Rinascimento, un punto di riferimento sia per le scienze naturali, sia per il sapere filosofico, ma anche per la vita dello spirito. Ma evolve rapidamente nei secoli successivi.

Il Sistema eliocentrico

Nel Seicento abbiamo un notevole scossone nella conoscenza cosmologica con la genesi della scienza moderna. Iniziata proprio con il Sistema eliocentrico (Sistema solare) che ha sostituito quello geocentrico[5], e poi si arricchisce di oggetti (pianeti, satelliti, asteroidi…), di movimenti, di precisione… quindi di numeri.

Nuovi pitagorici, a cominciare da Keplero, proseguirono invano la ricerca di rapporti capaci di dare ragione al filosofo! Un pianeta che rispetti le scoperte leggi di Keplero e la legge universale di gravità di Newton, in teoria, può volvere in qualunque orbita e non si trovano particolari vincoli capaci di sostenere l’idea dell’armonia delle sfere. Sbagliando, gli astronomi preferivano piuttosto assecondare la concezione che vede nel Sistema solare un meccanismo preciso come un orologio.

Un Sistema caotico

Studiare il problema del moto di due corpi (Sole e pianeta, pianeta e pianeta, pianeta e satellite) è matematicamente facile. Se invece coinvolgiamo più di due corpi, non ci sono soluzioni numeriche esatte. Pensiamo inoltre che nel nostro Sistema ci sono milioni di corpi in relazione, più o meno stretta, fra loro.

Un secolo fa in matematica si sviluppa la “teoria del caos”[6]. E il nostro Sistema solare si presenta proprio come un esempio di sistema caotico. Per ogni pianeta, infatti, risulta imprevedibile calcolare dove si trovava o dove si troverà in tempi lontani rispetto al presente. A questo punto sembrerebbe lecito concludere che la tanto inseguita idea di Pitagora sarebbe nulla più di una suggestione. Ma sarebbe una conclusione superficiale!

 

[1] Fra i molti riferimenti, segnaliamo per completezza: Kitty Ferguson, La musica di Pitagora. La nascita del pensiero scientifico, Longanesi, Milano 2009.

[2] La tetraktýs, sacra decade che geometricamente si poteva disporre nella forma di un triangolo equilatero di lato quattro.

[3] Si citano spesso le prime tre armoniche dispari, sia perché alcuni strumenti non eccitano le pari, sia perché quelle pari sono sempre ottave della fondamentale.

[4] Oggi noto come “programma Langlands”, ancora in pieno fiorire, con la partecipazione dei più importanti matematici mondiali.

[5] N. Copernico, De revolutionibus orbium coelium, 1543

[6] Teoria del caos, è lo studio di sistemi dove piccole differenze iniziali si amplificano, cioè ogni configurazione di un sistema caotico sia arbitrariamente vicina ad un’altra ed evolva con una traiettoria molto diversa.