Ereditare, ripetere, innovare come lemmi dell’atto interpretativo (seconda parte) | Filosofia dell’interpretazione musicale

Filosofia dell’interpretazione musicale in quindici puntate
Nona puntata

Declinazioni parallele e tangenze reciproche in ambito filosofico e musicale

Ripetizioni, inquietudini, amori, rivelazioni

Si dà il caso che fino a oggi l’interprete eserciti questa sua vocazione preferibilmente in concerto, e che il concerto resti dispositivo ricco di fascino, luogo-tempo in cui l’accadere del Nuovo e certe forme di Rivelazione e Salvezza sono possibili.

Si dà il caso, insomma, che l’iterazione del dispositivo del concerto conservi una componente spettacolare e una rivelativa. Funambolo, virtuoso; corpo che si espone alla luce impietosa dei riflettori: il concertista è personaggio ricco di fascino che sul palco accede a una dimensione fuori dal quotidiano – e la apre per noi che vediamo e ascoltiamo, lì, presi al laccio dalla stessa contingenza. Talvolta – noi ascoltatori – emergiamo da un concerto con la vita cambiata, con un dono, con un’autorivelazione che ci segue e che decide della nostra stessa vita.

Grande è la responsabilità dell’interprete, grande la sua potenza; altrettanto strutturale è però il senso della sua secondarietà ancillare rispetto al compositore.

Ciò fa dell’interprete un essere antinomico e inquieto: abitato da molte necessità, egli deve essere metodico e ispirato insieme; pratica rituali di accesso alla musica di cui sente la fisicità in sé, e la trascendenza fuori di sé. Tali rituali si basano sulla ripetizione mirata e sull’assimilazione, sulla mìmesis del contenuto e della forma – e, allo stesso tempo, sulla lotta contro una ripetizione becera, ginnica e autoassolutoria (Christa Buetzberger nel suo programma didattico insiste proprio su una formazione fenomenologica, interiore, intenzionale e direzionata del suono). I fini dello studio in vista di una esecuzione pubblica implicano per l’interprete forme di ri-creazione ed evocazione che sovrastano la sua immaginazione e la guidano.

La componente di mestiere è fortissima, ma si combina con una ispirazione che rapisce e rivela: talvolta accade a casa, in rari momenti imprevedibili, mentre si studia; talvolta fuori casa, rivolgendo il pensiero – e uno strano senso del tatto, del movimento, delle linee che ormai porti dentro – a quell’ente che è il pezzo, e che rimugini e rumini come un salmo, attraversandolo tutto, da capo a fondo, e anche a ritroso. 

La ripetizione, soprattutto per un artista con vocazioni interpretative, ha aspetti indubitabilmente simili alla preghiera: è contatto, è cauta e stupita familiarità con Altro che chiama e trascende, vincola e inchioda; è – di nuovo con Recalcati – disponibilità a scoprire il Nuovo nello Stesso, ogni giorno e più volte al giorno; è dare senso a quel meccanismo feroce ed esaltante che è la tournée, non esente da aspetti inquietanti, alienanti, noir (l’ultima definizione, molto appropriata, è di Beatrice Rana).

C’è chi vede aspetti inquietanti e insopportabili anche in certe pieghe della ripetizione: Gould giudicava alienante restare avvinghiati allo stesso programma per mesi, e trascinarselo stancamente tra le mani, quando già il tuo spirito vorrebbe affrancarsene, e fare altro; il rapporto follemente intenso da instaurare col pezzo non sopporta le logiche ripetitive e circensi dello spettacolo, e ne è irrimediabilmente traviato. Gould propone inoltre un taglio d’abitudine, scorgendo nella fisicità della ripetizione l’attivazione di meccanismi borghesi e conformistici che si infiltrano nell’interpretazione (il corpo ha memorie nauseanti; le dita hanno idee molli e facili) e inquinano la purezza teoretica della visione. Interpretazione è fedeltà creativa alla Visione ricevuta in privato: non iterazione di pratiche che eccitano il pubblico stimolandone sempre le medesime reazioni. Dunque profetizza una imminente fine del concerto pubblico il cui dispositivo si basa giusto su forme perverse di ripetizione: il concerto sarà soppiantato da forme più pure e ispirate e colte di comunicazione musicale.

Di recente anche Krystian  Zimerman si è espresso criticamente a proposito di una certa forma di ripetizione. Curioso e degno di nota il suo orizzonte: ciò che aborre, soprattutto ultimamente, è l’iterazione dell’intera forma a casa: si prepara, ma a pezzi, senza toccare l’intero. Questo deve essere raccontato, o meglio offerto – a ogni concerto, a ogni contesto – con la stessa freschezza, con la stessa incerta trepidazione con cui si dichiara l’amore. È contraddittorio e nocivo – sono parole sue – “esercitarsi allo specchio a dire ti amo“. È l’Altro a determinarmi: a condizionare forma, tempi, modi, tatto, scelte, maniere di porgere e attendere risposta. L’Altro siamo noi: il suo pubblico, sempre variabile. Curioso fondo cortese che permane (sin da ragazzo) in questo straordinario pianista e uomo! È dunque Amore, cioè imprevedibilità, sorpresa e relazione il motore plurimo del concerto! Krystian Zimerman in interview (5/5) (Condivido qui la quinta parte di un’intervista assai lunga di cui conviene ascoltare ogni parola: il totale si evince facilmente disponendo di questo primo link).

 

Tuttavia è nella iterazione della preparazione che l’interprete sperimenta assetti avulsi dalla fisicità, e vive un bios theoretikos che è bios xenikòs per eccellenza – come rileva Hannah Arendt ne La vita della mente, sia pure relativamente a quell’interprete dell’essere che è il filosofo. È nel raccoglimento del pensiero, è nella riflessione ripetuta che l’interprete de-sensibilizza il dato immediato e accede a un non-luogo ove il suo pensiero stesso figge lo sguardo, ove il tempo è virtualmente infinito eppure organizzato e trasceso; è adunando forze e direzioni geometriche ed espressive, e facendosi storia, che questo straordinario Proteo diviene diagonale tra passato e futuro. 

Nel cuore della ripetizione, dunque, il vero musicista spesso conosce in sé la scabrosa e benedetta esigenza di incamminarsi su strade interpretative mai battute, e dire ed essere, in un raccoglimento solitario e sfidante, l’Eretico e il Nuovo. Ciò non è facile da intendere all’esterno: si tratta pur sempre di un’arte applicata a qualche cosa che l’interprete rifà, e in molti sensi. E tuttavia è profondamente vero, e appare vitale per una vita dell’arte e del suo significato: significato non solo artigianale e di mestiere ma coinvolgente in massimo grado, che sappia aprire e rapire tutto l’essere.