Reading nietzscheani NATURA – Estratti scelti per la prima lettura

 

Reading Nietzscheani – Natura
Gli estratti scelti 
Domenica 5 novembre 2023, ore 17
Accademia Giuditta Pasta – Palazzo Valli Bruni, via Rodari 1 – Como

Ingresso libero con prenotazione a questo link

 

Come naturalisti, però, si dovrebbe evadere dal proprio cantuccio umano: e nella natura non è l’estrema angustia a dominare, ma la sovrabbondanza, la prodigalità spinta fino all’assurdo. La lotta per la vita è soltanto un’eccezione, una provvisoria restrizione della volontà di vita; la grande e piccola lotta ruota ovunque attorno al prevalere, al crescere e all’espandersi, attorno alla potenza, conformemente alla volontà di potenza, che è appunto la volontà della vita.
(La gaia scienza, aforisma 349)

Volete voi vivere «secondo natura»? O nobili Stoici, quale impostura di parole! Immaginatevi un essere come la natura, dissipatrice senza misura, indifferente senza misura, senza propositi e riguardi, senza pietà e giustizia, feconda e squallida e al tempo stesso insicura, immaginatevi l’indifferenza stessa come potenza – come potreste vivere voi conformemente a questa indifferenza? Vivere – non è precisamente un voler essere diversi da quel che è la natura? Vivere non è forse valutare, preferire, essere ingiusti, essere limitati, voler essere differenti? […] (giacché anche in questo caso, come sempre, «la natura» si mostra quale essa è, in tutta la sua prodiga e incurante grandiosità, nobile grandiosità, anche se muove a sdegno).
(Al di là del bene e del male, aforismi 9, 188)

Assenza di peccato nell’uomo. Se si è compreso come ‹‹il peccato sia venuto al mondo››, cioè per errori della ragione, a causa dei quali gli uomini si prendono fra di loro, anzi l’uomo singolo prende se stesso per molto più nero e cattivo di quanto in realtà non sia, tutto il sentimento viene molto alleviato, e gli uomini e il mondo appaiono talvolta in un’aureola di innocenza, tale che uno si sente profondamente bene. In mezzo alla natura l’uomo è sempre un fanciullo. Questo fanciullo fa sì qualche volta un sogno cupo e angoscioso, ma quando riapre gli occhi si ritrova in paradiso. 
(La vita religiosa, aforisma 124)

Doni di natura. In un’umanità così altamente sviluppata com’è quella odierna, ognuno riceve dalla natura accesso a molti talenti. Ognuno ha talento innato, ma solo in pochi è innato e si sviluppa con l’educazione il grado di tenacia, perseveranza ed energia, grazie a cui si diventa effettivamente un talento, ossia si diventa ciò che si è, vale a dire: lo si scarica in opere e in azioni. 
(Il viandante e la sua ombra, aforisma 263)

I pazienti. Il pino sembra ascoltare, l’abete aspettare – ed entrambi senza impazienza: essi non pensano al piccolo uomo sotto di loro, che viene divorato dalla sua impazienza e dalla sua curiosità. 
(Il viandante e la sua ombra, aforisma 176)

Gitanti. Salgono sulla montagna come animali, stupidamente e sudando; ci si era dimenticati di dir loro che per strada ci sono belle vedute.
(Il viandante e la sua ombra, aforisma 202)

Neutralità della grande natura. La neutralità della grande natura (montagna, mare, bosco e deserto) piace, ma solo per poco tempo; poi ci impazientiamo. ‹‹Ma queste cose non vogliono dunque dirci proprio nulla? Non siamo noi qui per essere?››. Sorge il sentimento di un crimen laesae majestatis humanae.
(Il viandante e la sua ombra, aforisma 205)

Arte e natura. I Greci (o perlomeno gli Ateniesi) ascoltavano volentieri chi sapeva parlare: tutti avevano per questo una tendenza bramosa che più di ogni altra cosa li distingueva dai non Greci. E così anche dalla passione scenica pretendevano che sapesse ben parlare e subivano deliziandosene l’innaturalezza del verso drammatico: nella natura la passione è così avara di parole, così muta e impacciata! Oppure, se trova parole, è così smarrita e irrazionale e pudibonda di se stessa! Così, grazie ai Greci, ci siamo tutti assuefatti a questa innaturalità scenica, così come, grazie agli Italiani, tolleriamo, e anche di buon grado, quell’altra innaturalità, la passione che canta. E’ divenuto per noi un bisogno che non possiamo soddisfare a partire dalla realtà: quello di sentir parlare degli esseri umani bene e diffusamente nei più gravi frangenti: è per noi un incanto, quando l’eroe tragico trova ancora parole, ragioni, atteggiamenti eloquenti e insomma una chiara intellettualità, mentre la vita si approssima agli abissi e l’uomo reale perde per lo più la testa e sicuramente le belle parole. Questa specie di deviazione dalla natura è forse il cibo più gradevole per la superbia dell’uomo: è per cagion sua che egli ama in generale l’arte come espressione di una elevata ed eroica innaturalezza e convenzione.
(La gaia scienza, aforisma 80)

Donde vengono le montagne più alte? Chiedevo in passato. E allora imparai che esse vengono dal mare.
Questa testimonianza sta scritta nelle loro rocce e nelle pareti delle loro cime. Dall’abisso più fondo, la vetta più alta deve giungere alla sua altezza.
Così parlò Zarathustra sulla cima del monte, dov’era freddo; ma quando fu giunto in vicinanza del mare e alla fine si trovò solo in mezzo agli scogli, il cammino fatto l’aveva reso stanco e ancor più melanconico di prima.
Tutto dorme ora, disse; anche il mare dorme. Ebbro di sonno e straniato, il suo occhio si posa su di me.
Ma il suo respiro è caldo, lo sento. E sento anche che il mare sogna. E sognando si gira e rigira su cuscini scabri.
Ascolta ! Come sospira per ricordi cattivi ! O per cattive attese?
Ah, con te divido la mestizia, mostro tenebroso, e per tua colpa sono in collera con me stesso.
Ah, perché la mia mano non ha forza abbastanza !
Davvero ti libererei volentieri dai tuoi sogni cattivi ! 
(Così parlò Zarathustra, il viandante)

Contro i calunniatori della natura. Mi risultano sgradevoli quegli uomini, presso i quali ogni tendenza naturale si trasforma subito in malattia, in qualcosa di deturpante o perfino di ignominioso: costoro ci hanno indotto a credere che tendenze e istinti degli uomini siano malvagi; essi sono la causa della nostra grande ingiustizia contro la nostra natura, contro ogni natura. Ci sono abbastanza uomini che possono abbandonarsi alle loro inclinazioni con eleganza e disinvoltura: ma non lo fanno per timore di quella fantastica “essenza malvagia” della natura. Da ciò è derivato il fatto che così poca nobiltà è dato trovare in mezzo agli esseri umani: nobiltà il cui segno distintivo sarà sempre quello di non aver paura di sè, di non aspettarsi niente di ignominioso da sé, di volare senza esitazione laddove ci si sente spinti, noi uccelli nati liberi! In qualunque luogo si giunga, tutto sarà sempre libero e assolato intorno a noi.
(La gaia scienza, aforisma 294)

Avarizia della natura. Perché la natura è stata così avara verso gli uomini, da non lasciarli splendere chi più, chi meno, secondo la loro interiore abbondanza di luce? Perché i grandi uomini non hanno una così bella visibilità nella loro aurora e nel loro tramonto, come l’ha il sole? Quanto meno ambigua sarebbe la vita fra gli uomini!
(La gaia scienza, aforisma 336)

Ai dispregiatori del corpo voglio dire una parola. Essi non devono, secondo me, imparare o insegnare ricominciando daccapo, bensì devono dire addio al proprio corpo – e così ammutolire.
«Corpo io sono e anima» – così parla il fanciullo. E perché non si dovrebbe parlare come i fanciulli?
Ma il risvegliato e sapiente dice: corpo io sono in tutto e per tutto, e null’altro; e anima non è altro che una parola per indicare qualcosa del corpo.
Il corpo è una grande ragione, una pluralità con un solo senso, una guerra e una pace, un gregge e un pastore.
Strumento del tuo corpo è anche la tua piccola ragione, fratello, che tu chiami “spirito”, un piccolo strumento e un giocattolo della tua grande ragione.
“Io” dici tu, e sei orgoglioso di questa parola. Ma la cosa ancora più grande, cui tu non vuoi credere, – il tuo corpo e la sua grande ragione: essa non dice “io”, ma fa “io”.
Ciò che il senso sente e lo spirito conosce, non ha mai dentro di sé la propria fine. Ma il senso e lo spirito vorrebbero convincerti che loro sono la fine di tutte le cose: talmente vanitosi sono essi.
Strumenti e giocattoli sono il senso e lo spirito: ma dietro di loro sta ancora il Sé. Il Sé cerca anche con gli occhi dei sensi, ascolta anche con gli orecchi dello spirito.
Sempre il Sé ascolta e cerca: esso compara, costringe, conquista, distrugge. Esso domina ed è il signore anche dell’io.
Dietro i tuoi pensieri e sentimenti, fratello, sta un possente sovrano, un saggio ignoto – che si chiama Sé. Abita nel tuo corpo, è il tuo corpo.
Vi è più ragione nel tuo corpo che nella tua migliore saggezza. E chi sa a quale scopo per il tuo corpo è necessaria proprio la tua migliore saggezza?
Il tuo Sé ride del tuo io e dei suoi balzi orgogliosi. “Che sono mai per me questi balzi e voli del pensiero? esso si dice. Una via traversa verso il mio scopo. Io sono la danda dell’io e l’insufflatore dei suoi concetti”.
Il Sé dice all’io: «ecco, prova dolore!». E l’io soffre e riflette come non soffrire più – e proprio per questo deve pensare.
Il Sé dice all’io: «ecco, prova piacere!». E l’io gioisce e pensa come poter ancora gioire spesso – e per questo appunto deve pensare.
Voglio dire una parola ai dispregiatori del corpo. Che essi disprezzino è dovuto al loro apprezzare. Ma che so cos’è che ha creato l’apprezzare e il disprezzare e il valore e la volontà?
Il Sé creatore ha creato per sé apprezzare e disprezzare, ha creato per sé il piacere e il dolore. Il corpo creatore ha creato per sé lo spirito, e una mano della sua volontà.
Persino nella follia del vostro disprezzo, dispregiatori del corpo, voi servite il vostro Sé. Io vi dico: è il vostro Sé che vuol morire e si allontana dalla vita.
Ormai non può più fare ciò che più di tutto vorrebbe: – creare al di sopra di sé. Questo egli vuole più di tutto, questo è tutto quanto il suo anelito.
Ma ormai troppo tardi è per lui, per far questo: — così il vostro Sé vuol tramontare, dispregiatori del corpo.
Tramontar vuole il vostro Sé, e perciò siete diventati dispregiatori del corpo! Infatti non siete più capaci di creare al di sopra di voi stessi.
E per questo ora vi incollerite contro la vita e la terra.
Un’invidia inconsapevole è nello sguardo bieco del vostro disprezzo.
Io non vado sulla vostra strada, dispregiatori del corpo! Voi non siete per me ponti verso il superuomo ! –
Così parlò Zarathustra.
(Così parlò Zarathustra, Dei dispregiatori del corpo)

Nel grande silenzio. Ecco il mare, qui possiamo dimenticare la città. È vero che proprio in questo momento si sente ancora strepitare le campane dell’Ave Maria, – è quel sussurro cupo e folle, eppur dolce, al crocicchio del giorno con la notte, – ma solo per un istante ancora! Ora tutto tace! Il mare si stende pallido e scintillante, non può dire una parola. Il cielo offre il suo eterno, muto spettacolo serale con rossi, gialli, verdi colori, non può dire parola. Questa immensa impossibilità di parlare, che ci coglie all’improvviso, è bella e agghiacciante: ne è gonfio il cuore. O ipocrisia di questa muta bellezza! Quanto bene saprebbe parlare, quanto malefiche, se volesse il nodo della sua lingua e la sua dolorosa felicità nel viso è una malizia per deridere la consonanza del tuo sentire! Sia pure! Io non mi vergogno di essere lo zimbello di tali potenze. Ma ho compassione di te natura, perché devi tacere, anche se è soltanto la tua malvagità ad annodarti la lingua: sì, io ti commisero a cagione della tua malvagità! Ah, si fa ancora più silenzio e ancora una volta mi si gonfia il cuore: lo atterrisce una nuova verità, neppure esso può dire parola. Anch’esso deride, se la bocca getta un grido in questa bellezza; esso pure gode la dolce malvagità del tacere. Il parlare, anzi il pensare, mi è odioso: non odo forse, dietro ogni parola, ridere l’errore, l’immaginazione, lo spirito dell’illusione? Non devo irridere la mia pietà? Irridere la mia irrisione? O mare! O sera! Voi siete cattivi maestri! Voi insegnate all’uno a cessare di essere uomo! Deve abbandonarsi a voi? Deve diventare come voi ora siete, pallido, scintillante, muto, immenso, riposante su se stesso? Eccelso sopra se stesso?
(Aurora, aforisma 423)