La musica: un’utopia possibile / Ernst Bloch

E se qualcuno nel bel mezzo del travagliato ‘secolo breve’ si fosse azzardato a parlare di speranza e utopia? È stato proprio il caso di Ernst Bloch (1885 – 1977). Gli eventi storici sicuramente influirono sulla vita del filosofo in quanto tedesco dalle origini ebraiche, attento alle idee politiche del suo tempo e leggendo Spirito dell’Utopia e Principio Speranza sembra impossibile dimenticare l’influenza dello sconvolgente contesto storico e culturale sul suo pensiero.

A Monaco di Baviera, nei primi anni Dieci, da una conversazione tra Wassily Kandinsky e Franz Marc, nasce l’idea di creare un nuovo movimento di artisti, in seguito chiamato Der Blaue Reiter (Il Cavaliere Azzurro), dal quale nascerà un almanacco con lo stesso nome. L’almanacco è costellato da idee rivoluzionarie: il rifiuto della validità prioritaria dell’esperienza empirica e la volontà opposta di recuperare una spiritualità e creatività nell’arte, l’esigenza di sbarazzarsi delle convenzioni pur senza voltare totalmente le spalle alla tradizione, ma costruendo sopra di essa nuovi orizzonti. Tutte le forme d’arte sono permesse ed emerge in tal modo una rivalutazione dell’arte infantile e popolare. Nel momento in cui la tecnica è al servizio della creazione, viene consentita una sempre maggiore libertà di espressione artistica, in opposizione  all’oggettivismo tipicamente ottocentesco.

Sebbene non siano documentati legami concreti tra il movimento del Cavaliere Azzurro e Ernst Bloch, quest’ultimo è spesso stato considerato il ‘filosofo dell’espressionismo’, primo tra tutti da Theodor Wiesengrund Adorno. Contemporaneo di Bloch, Adorno in Note per la Letteratura descrive il pensiero del filosofo dell’utopia con parole forse non del tutto lusinghiere: «la filosofia di Bloch, accettando il primato dell’espressione sul significato, non tanto preoccupata che le parole chiariscano i concetti, quanto che i concetti trovino un focolare nelle parole, è la filosofia dell’espressionismo». Tali affermazioni sembrano condivisibili, ma possiamo individuare nella ‘nebulosità’ del linguaggio blochiano una coerenza tra forma e contenuto del testo. La prosa di Ernst Bloch quasi si avvicina ad uno stile poetico, narrativo, volutamente anti-sistematico e trasporta il lettore in una dimensione, in un’atmosfera. Prendiamo ad esempio l’inizio di Spirito dell’Utopia: «Io sono, Noi siamo. È abbastanza. Ora dobbiamo cominciare. La vita è nelle nostre mani». E secondo Bloch il concetto di utopia arriva agli esseri umani non da un linguaggio razionale, quotidiano, ma da codici misteriosi, decifrabili solo dall’interiorità più intima dell’essere umano.

Spirito dell’Utopia viene pubblicato nella versione definitiva nel 1923 ed esplicita quello che per il filosofo è l’utopia espressionista attraverso un linguaggio il più possibile simile a quello con il quale l’utopia arriva a noi: la volontà di uscire da un mondo in cui l’interiorità è totalmente assoggettata e soffocata da una condizione sociale determinata, per dirla con Adorno, da un’«organizzazione totale». È la mentalità produttivistica, l’anima del capitalismo tardo-ottocentesco: in America nasce la Ford, il Italia la Fiat e nel 1907 viene pubblicato L’organizzazione scientifica del lavoro di Frederik Taylor. L’opposizione all’oggettivismo scientifico porta Ernst Bloch all’interesse verso tutti i tipi di manifestazioni dell’interiorità, definita dal filosofo ‘il Sé’, il punto focale di attenzione dell’espressionismo: dai sogni, all’arte e infine soprattutto alla musica. Tali manifestazioni del Sé vengono chiamate da Bloch ‘utopie concrete’, tra le quali la musica viene considerata la più immediata e alla portata dell’essere umano.

In Principio Speranza la potenzialità utopica della musica viene spiegata attraverso un celebre mito narrato nelle Metamorfosi di Ovidio: Pan è innamorato della ninfa Syrinx, la quale rifiuta il suo amore. Un giorno Syrinx, in fuga da Pan, si imbatte in un fiume e prega alle onde di trasformarla e Pan, nel tentativo di afferrarla, si ritrova in mano soltanto delle canne di fiume. Pan spezza le canne in pezzi lunghi e corti, le gradua e le mette insieme con la cera, fino a creare il flauto pastorale. Il suono prodotto dallo strumento consente di far rivivere Syrinx ed esprimere l’amore per lei: secondo Bloch questo significa realizzare un’utopia. Attraverso la musica possiamo attingere a un mondo dal linguaggio misterioso, completamente diverso da quello umano. Allo stesso tempo è lo stesso essere umano il creatore di tale linguaggio, capace di rievocarlo a piacere attraverso il suono di uno strumento.

La filosofia della musica di Bloch è dunque prima di tutto una filosofia del suono, puro, staccato da un discorso musicale. Il suono è l’espressione dell’interiorità più autentica, poiché consente di elevare l’uomo da ciò che Bloch chiama ‘oscurità dell’attimo vissuto’: l’attimo presente è oscuro, ci sfugge in continuazione in quanto troppo vicino, troppo scontato. Il suono ha il potere di distoglierci dall’attimo presente, dallo stato di coscienza abituale, per portare il pensiero verso la nostra interiorità più profonda, altrimenti invisibile. Questo momento rappresenta una delle tappe fondamentali di ciò che Bloch definisce ‘autoincontro’, fondamentale per instaurare un dialogo con noi stessi, con la nostra interiorità. In tal modo egli descrive in Spirito dell’Utopia il potere del suono: «il suono racchiude qualcosa che ci fa porre la mano sul cuore, che ci attornia e ci evoca con noi stessi».

Ma successivamente i suoni devono essere organizzati in qualche modo, per arrivare ad essere musica. La struttura formale è necessaria perché l’arte dei suoni possa venir comunicata a più persone, tuttavia solo nel momento in cui la musica riesce a svincolarsi dalla rigidità della forma può comunicare all’ascoltatore l’espressione del suono come rivelatore di interiorità.

Alla ricerca di ‘musiche utopiche’, Ernst Bloch redige in Spirito dell’Utopia una particolarissima storia della musica. La prima particolarità risiede nell’uso di una metafora: il tappeto, la cui struttura di fili intrecciati simbolizza una successione stratificata (e non gerarchizzata) di eventi e storie. Il termine ‘tappeto’ viene quindi utilizzato da Bloch per descrivere un modello musicale, frutto di una serie di intrecci e scambi di idee tra compositori, non necessariamente vissuti nella stessa epoca. Attraverso tale metafora Bloch si oppone alla concezione secondo la quale la storia della musica sarebbe una serie di conquiste progressive di strumenti tecnico formali, poste in ordine cronologico.  Piuttosto, se vogliamo proprio trovare un ‘progresso’, per Bloch questo risiede nella capacità dei compositori di far emergere le potenzialità espressive del suono, ovvero il lato utopico della musica.

I ‘tappeti’ principali sono tre. Il primo consiste nell’«incessante canticchiare, nella danza e nella musica da camera». La danza e il canto sono considerate da Bloch le prime forme con le quali l’essere umano ha potuto esprimere il desiderio di utopia, di evasione dall’oscurità dell’attimo vissuto. Facendo un salto temporale non ben definito, Bloch vede nella musica da camera una sofisticata elaborazione contrappuntistica della forma sonata, in cui vengono intrecciati il canto e la danza.

Bloch prosegue con il secondo tappeto, identificato nel «Lied chiuso», citando autori di generi musicali e periodi storici in modo rigorosamente non cronologico. Dal primo all’ultimo vengono elencati Schubert, Mozart e infine Bach, accomunati dalla ‘rigidità della struttura architettonica’ nella loro musica. Il canto e i sentimenti emergono in modo «semplice» per Schubert, «vivace» per Mozart, «gotico» per Bach, ma rimangono dipendenti da esigenze formali.

E’ il terzo tappeto a contenere la musica più ‘utopica’. Bloch lo chiama «Lied aperto» e comprende la sinfonia e il melodramma. Il percorso prende in considerazione in ordine Bizet, Beethoven, Brahms, Strauss, Mahler, Brukner e infine Wagner, al quale Bloch dedica la parte più consistente. I compositori del terzo tappeto hanno sentito l’esigenza di liberarsi dalle ‘forme chiuse’, per adattare la forma al contenuto e non viceversa. Bloch riporta molti esempi musicali, ma una delle opere a cui dedica più spazio è il Tristano. La sua trattazione viene privilegiata dal filosofo in quanto l’opera è una grande rappresentazione musicale dell’interiorità, a cominciare dal preludio iniziale, composto da un «astorico e astratto motivo del desiderio, impalpabile, sospeso nel vuoto e tuttavia pronto a cadere e prendere corpo».

La storia della filosofia sembra punteggiata da sistemi di pensiero che hanno trovato un apice, un punto d’arrivo, nell’arte musicale. Tale tradizione sembra essere stata iniziata in primis da Schopenhauer, del quale non si può negare l’influenza sul pensiero blochiano. L’utopia di Bloch ricorda la concezione schopenhaueriana della musica come tensione verso l’assoluto, come una sorta di mezzo per accedere ad una dimensione ultraterrena e perfetta. Tuttavia il filosofo dell’utopia in più circostanze dichiara un distacco dal filosofo romantico. Nella concezione di Schopenhauer la musica ha un ruolo fondamentale per la filosofia, anzi essa si rivela essere la filosofia più perfetta, ovvero la volontà stessa, appartenente ad un altro mondo, del quale la terra non è che una ‘copia’. Ma se la musica è un ‘secondo mondo’, allora a rimanere fuori da tale prospettiva è il ruolo del soggetto, la comunità dei soggetti, che invece per Bloch rappresenta il punto di partenza della produzione musicale. Se per Schopenhauer la musica tende a un assoluto da cui l’uomo è schiacciato, la volontà, per Bloch l’assoluto è pienamente realizzabile facendo musica, come possibilità concreta dell’uomo.

Da molte affermazioni di Bloch potrebbe emergere una tendenza a generalizzare il potere della musica sugli uomini.  In realtà in Principio Speranza egli sottolinea come la musica cambi modalità espressive a seconda della classe sociale di volta in volta dominante. In particolare Bloch individua un parallelismo tra gerarchia sociale e relazioni tra le voci in diversi stili compositivi, con una singolare visione marxiana: «All’imprenditoria incipiente corrisponde il dominio della voce di soprano che guida la melodia e la mobilità delle altre, così come il cantus firmus al centro e la graduata polifonia hanno corrisposto alla società dei ceti». E quindi anche la musica atonale si afferma proprio nell’epoca di decadenza tardocapitalistica, cui ha risposto «come ardito disorientamento».

Piuttosto, universale sembra essere per Bloch il potere del suono sull’essere umano e proprio nel valore dato al suono risiede l’originalità del suo pensiero sulla musica. Il suono consente all’uomo di esplicitare e conoscere il proprio Sé e oggi potremmo dire che tale percezione del Sé sarà diversa a seconda del tipo di strumento e della comunità di ascoltatori. Un suono di violino o di pianoforte sarà espressione di un’interiorità occidentale, mentre quello dei tablas ne esprimerà una più orientale e in tal modo ci saranno differenze di espressione e di ascolto a seconda se un suono viene da un sintetizzatore o da uno strumento tradizionale. Sembra che l’unico comune denominatore di queste esperienze sia l’esigenza per l’uomo di inventare strumenti che producano suoni, che successivamente diventino musica, indipendentemente dalla storia e dalla cultura. Se tale concetto può sembrare semplice, non lo è la sua spiegazione attraverso il pensiero dell’utopia formulato da Bloch, che attribuisce un nuovo significato alla produzione del suono. Considerando l’attuale situazione plurale di mondi musicali accessibili, la varietà di stili e generi musicali che possiamo ascoltare attraverso il web, il recupero della filosofia del suono di Ernst Bloch ci può aiutare a legare tra loro questi mondi in un unico desiderio umano: inventare e realizzare in modi diversi sempre più nuove musiche, ovvero utopie possibili.