Dagli “oggetti trovati” agli “oggetti rubati” di György Kurtág (prima parte)

«Tra i cinque e i sette anni amavo molto la musica classica, imparai a suonare il pianoforte. All’età di sette anni smisi, persi tutto il mio interesse per la musica: sbagliavo gli esercizi di pianoforte, mi impegnavo solo per cinque o dieci minuti alla settimana e alla fine lo strumento non mi permetteva di accedere a nessun contenuto profondo. Le danze, il tango, il valzer e le marce mi hanno riportato la passione per la musica».

In questo modo György Kurtág racconta il suo primo approccio alla musica in un’intervista realizzata dal musicologo ungherese Bálint András Varga tra il 1982 e il 1985, suggerendo alcuni indizi delle origini di Játékok, in ungherese Giochi: una raccolta di otto volumi contenenti brevi pezzi pensati soprattutto per pianisti principianti, al fine di prendere confidenza con il linguaggio della musica contemporanea della seconda metà del Novecento.

L’insofferenza per noiosi esercizi sul pianoforte, assieme alla passione per la danza emergono già dall’inizio del primo volume di Játékok nel brano intitolato Alapelemek, (Elementi base) identificati da Kurtág in movimentati glissandi ascendenti e discendenti e in cluster ottenuti con l’appoggio dei gomiti e del palmo delle mani sulla tastiera. Attraverso questi mirabolanti spartiti il pianista è invitato a sperimentare una gestualità diversa dalla classica posizione a cinque dita sullo stesso registro, proposta nella maggior parte della letteratura pianistica per principianti, anche di un certo valore (si pensi ad esempio a Mikrokosmos di del compositore ungherese Béla Bartók). In Játékok le braccia devono muoversi repentinamente da un lato all’altro della tastiera, trasformando il corpo del pianista in un “corpo danzante”.

Anche la notazione presenta delle novità decisamente impattanti ad un primo sguardo dello spartito: al posto delle classiche note posizionate su una riga o uno spazio del pentagramma, indicatrici di una precisa altezza, troviamo degli ingombranti “palloncini” neri o bianchi sopra più righe e spazi del pentagramma. Kurtág esplicita nell’introduzione alla raccolta come questa notazione non sia da prendere sul serio nel senso classico del termine, ma in un senso nuovo: i “palloncini” possono essere considerati come “indicatori di altezza” di cluster da eseguire in un punto più o meno preciso della tastiera. Ma l’ambiguità di questi “indicatori di altezze” si compensa con la precisione delle scelte espressive, poiché gli indizi su dinamiche, fraseggio e silenzi non lasciano tregua al pianista, il quale deve capire come interpretarli e farli propri, al fine di creare oggetti artistici intenzionali, anche se il pianista è alle prime armi. Il compositore ungherese introduce quindi nella letteratura pianistica per principianti una grande novità, una sorta di “didattica dell’errore”: le sue partiture obbligano a dare un’importanza primaria all’intenzione musicale e secondaria all’altezza, alla nota sbagliata, insomma a muoversi sulla tastiera senza paura.

Come suggerisce il musicologo Philippe Albèra, in Játékok possiamo trovare una condensazione del pensiero musicale di Kurtág e in questa direzione sembra rilevante sottolineare il particolare momento della vita del compositore nel quale nasce l’idea della raccolta. Gli otto volumi dell’opera vengono composti a partire dagli anni Settanta dopo un lungo periodo di crisi creativa e accompagnano l’artista per quasi tutta la sua vita (l’ultimo volume viene pubblicato nel 2017). Forse solo Kurtág e la psicoterapeuta Marianne Stein potrebbero ricostruire i motivi che a Parigi, dal 1956, portarono il compositore a un’importante crisi depressiva e creativa, da lui raccontata nella stessa intervista di Varga: succube delle sue stesse fissazioni, mangia pochissimo riso perdendo venti chili e colleziona ossessivamente fiammiferi, che sparge in tutta la camera da letto.

Del resto Kurtág, come molti cittadini dell’Europa dell’est nati negli anni Venti del Novecento non ebbe una vita semplice. Classe 1926, Kurtág nasce a Lugoj, in Romania, per poi attraversare il rischioso confine rumeno-ungherese e trasferirsi a Budapest con l’obiettivo di frequentare la rinomata accademia Ferenc Liszt, dove conosce l’amico e compagno di studi Ligeti. Per l’Ungheria il 1945 è un sospiro di sollievo, una temporanea atmosfera di libertà, incoraggiante per la vita culturale e artistica del paese. Ma il momento di felicità si rivela estremamente temporaneo, dalla politica del momento cominciano ad emergere segni tangibili di uno slittamento ad un’altra dittatura, quella stalinista. Nonostante il pesante clima politico, Kurtág rimane in Ungheria componendo e frequentando corsi d’importanti musicisti, come il compositore Leó Weiner, fino alla rivoluzione ungherese del 1956. A questo punto la situazione a Budapest comincia a essere sempre più pericolosa: una sollevazione armata di spirito antisovietico viene duramente repressa dall’intervento delle truppe sovietiche, spargendo migliaia di morti e feriti e mettendo in fuga verso l’occidente una parte della popolazione. Data la pericolosità della situazione, anche per Kurtág è arrivato il momento di trasferirsi e, tra tutte le mete possibili, Parigi è la più attraente dal punto di vista culturale e musicale. Ma, a quanto pare, gli stimoli musicali non bastano e per il compositore arriva un momento molto duro.

Fortunatamente il lavoro terapeutico ha dei buoni effetti, sortiti anche dalle salutari passeggiate al parco assieme ai figli della commediografa americana con la quale abita, passeggiate in cui Kurtág racconta di aver cominciato a osservare con attenzione le forme spoglie degli alberi e ascoltare il canto degli uccelli, elementi che iniziano a mettere in moto un’attività creatrice. Tutto questo lo conduce gradualmente a riaprirsi al mondo e arriva a conoscere e studiare con Darius Milhaud e Olivier Messiaen. È il momento per Kurtág di ricominciare da capo e partire da “oggetti trovati” o “rubati”, come egli stesso definisce i primi brevissimi brani di Játékok, che saranno anche la base per successive importanti opere come i Microludes per quartetto d’archi nel 1978 e poi Messages of the Late Miss R.V. Troussova per soprano e orchestra da camera del 1980.

Talát tárgy (Oggetto trovato), è uno dei primi brani di Játékok e consiste in una semplice serie di glissandi in crescendo e diminuendo, da eseguire come fosse un moto perpetuo. Un “oggetto trovato” è dunque per Kurtág un semplice elemento musicale, non sorto da una particolare inventiva: un “a priori” che, secondo il compositore, ha la stessa dignità di una pietra rispetto alla scultura, della quale è l’elemento costruttivo primario.