Dagli “oggetti trovati” agli “oggetti rubati” di György Kurtág (seconda parte)

Proseguendo il percorso del primo volume, dagli “oggetti trovati” si passa agli “oggetti rubati”, elementi musicali ripresi da importanti compositori, contemporanei e del passato, riportati in Játékok completamente stravolti. Con un filo d’ironia, Kurtág presenta questi “oggetti rubati” come “omaggi” a Verdi, Ligeti, Čajkovskij e tanti altri. Ad esempio, in Hommage à Čajkovskij vengono ripresi i celebri accordi iniziali del pianoforte nel primo concerto Op. 23 dell’autore oggetto dell’omaggio e trasformati in dissonanti cluster. Lungi dal somigliare al virtuosistico concerto, l’obiettivo di Kurtág nel comporre questo brano è invitare il pianista principiante a realizzare ampi gesti sulla tastiera già dal primo contatto con lo strumento. Intento collegato da Kurtág a un suo personale ricordo d’infanzia: da piccolo desiderava intensamente suonare il concerto per pianoforte di Schumann e chiese alla sua maestra quando avrebbe potuto cimentarsi in un brano così complesso. Con grande delusione di Kurtág, lei gli rispose: «Forse tra quattro o cinque anni». In una delle lezioni del compositore sull’opera, il cui testo risale al Festival d’Automne tenuto a Parigi nel 1994, racconta tale episodio, commentando: «Ricordandomi di queste sensazioni, ho voluto dare al bambino, attraverso un nuovo “oggetto rubato”, la sensazione di suonare il Concerto per pianoforte di Čajkovskij»

L’importanza data alla gestualità è strettamente legata all’esigenza di brevità ed essenzialità, non solo in Játékok, ma in tutta l’opera di Kurtág. Valore e condizione estetica derivante dall’ammirazione e dallo studio dell’opera di Anton Webern, punto di riferimento importantissimo per il compositore ungherese. In Játékok trionfa la semplicità di una forma volutamente spoglia ed elementare, ottenuta dal compositore sfruttando qualsiasi materiale al massimo, per arrivare a comporre brani il più corti possibile. Ad esempio in Köd Canon (Canone della nebbia), un brano per quattro mani del quarto volume della raccolta, la forma del canone viene utilizzata per dare all’ascoltatore la sensazione di confusione e vaghezza creata dalla nebbia, ottenuta musicalmente attraverso la sovrapposizione non tanto di una vera e propria melodia, ma da una sequenza di pochissimi clusters e glissandi, è proprio tale essenzialità dei suoni a mettere in moto l’immaginazione dell’ascoltatore.

Oltre a Játékok, è possibile trovare molti altri esempi di questo tipo, rappresentativi di un’estetica volta alla brevità. Primo tra tutti i Microludes per quartetto d’archi, dove gli elementi compositivi vengono immediatamente svelati e non mostrati come frutto di un’accumulazione. Il materiale più utilizzato, che si tratti di un intervallo, di una scala o di una formula melodica, acquisisce una sorta di innocenza, come se il compositore ne ritrovasse il senso principale e la forza originaria.

Játékok viene definito da Kurtág come un “viaggio autobiografico” e tale definizione sottolinea come i Giochi non siano una “divagazione” dal suo percorso compositivo, ma un’opera centrale, riassuntiva delle sue idee principali riguardo a comporre, interpretare e ascoltare la musica. L’essenzialità degli oggetti “trovati” e “rubati”, grazie alle loro poche note, invitano a una grande partecipazione e immaginazione da parte dell’ascoltatore, a prescindere dalle sue competenze musicali. Tale “sforzo immaginativo” richiesto dal compositore al fruitore sembra rintracciabile nella maggior parte delle avanguardie musicali del Novecento, sebbene con numerose differenziazioni: dal pensiero di Claude Debussy, il quale chiude i conti con l’Ottocento e con il “wagnerismo”, per aprire la strada a nuove “corrispondenze” tra natura e immaginazione, sembra possibile tracciare una sottile linea di collegamento con il serialismo, fino alle sperimentazioni sul silenzio di John Cage.

Játékok sembra dunque collocarsi in questo filone di pensiero estetico, chiedendo uno sforzo anche all’interprete, oltre che all’ascoltatore, esigendo impegno non tanto nell’aspetto strettamente tecnico virtuosistico, quanto nell’inventiva. Durante un dibattito a seguito di una lezione di Kurtág su Játékok, un ascoltatore pone una domanda al compositore sulle modalità di applicazione del “metodo” proposto nella raccolta, alla quale Kurtág risponde: «A volte, lo stesso pezzo può essere utilizzato per gli inizi, o al contrario come pezzo virtuosistico, da concerto […] Molti pezzi possono essere una prova d’improvvisazione. Ho un modo molto primitivo di pensare la musica: come ricerca continua. È un modo di approcciare la musica che, nei primi anni di studio, deve coesistere con tutta la letteratura tradizionale. Alcuni procedimenti suggeriti in Játékok possono essere applicati a queste opere tradizionali».

Játékok non coinvolge solo insegnanti e allievi: il suo messaggio arriva a una più ampia comunità costituita da compositori, interpreti e ascoltatori, suggerendo la necessità di conoscere la letteratura musicale, contemporanea e del passato, come punto di partenza per scoprire nuovi orizzonti, attraverso la sperimentazione di diverse soluzioni musicali, in una ricerca artistica personale che forse per un musicista dovrebbe continuare tutta la vita.